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Perché sarà tosto un accordo a Parigi sui gas serra

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L’era industriale rappresenta l’inizio di quello che potremmo chiamare Antropocene, un’era in cui le attività umane sono diventate elemento fondamentale nel determinare l’evoluzione dell’ambiente terrestre. Il fenomeno del riscaldamento globale rappresenta forse l’impronta più importante di questo Antropo¬cene.

Molti studi hanno stabilito, con un alto valore di attendibilità (95-99%), che tale riscaldamento deriva essenzialmente all’aumento di gas serra, causato da attività umane legate principalmente all’uso di combustibili fossili. Nell’ultimo secolo la Co2 presente nell’aria è cresciuta di circa il 45-50%, passando da un valore naturale di circa 280ppm a uno di circa 400ppm. Mentre i livelli naturali di gas serra sono positivi per il clima terrestre, mantenendolo a una temperatura relativamente mite.

La teoria ci dice che un loro aumento dovrebbe portare a un riscaldamento della temperatura: durante l’ultimo secolo c’è stato, infatti, un aumento di circa 1°, valore che rappresenta un enorme aumento energetico per il sistema climatico globale. Ma perché preoccuparci del riscaldamento globale? Il motivo principale è che esso porta a una serie di effetti collaterali che possono essere molto dannosi per la società umana e gli ecosistemi naturali. Il primo è l’innalzamento del livello del mare dovuto allo scioglimento dei ghiacci continentali e all’espansione termica dell’acqua degli oceani, che si stanno anch’essi riscaldando. Nell’ultimo secolo, infatti, l’aumento è stato di circa 20 cm e le previsioni più pessimistiche indicano un possibile innalzamento fino a un metro entro la fine del xxi secolo.

Questo fenomeno provocherebbe un forte aumento di alluvioni e infiltrazioni di acque saline in molte aree costiere. Se si considera che nelle prossime decadi la maggior parte della popolazione risiederà proprio in queste zone, ci si rende conto della gravità del fenomeno. Lo scioglimento dei ghiacciai può avere, invece, conseguenze devastanti su miliardi di persone che dipendono da essi in quanto principale fonte di approvvigionamento idrico – si pensi ad esempio ai ghiacci himalayani. C’è poi da considerare il fenomeno dell’intensificazione del ciclo idrologico legato al maggiore contenuto di energia e vapore acqueo in un’atmosfera sempre più calda. Questa intensificazione si manifesta nell’aumento dell’intensità di tempeste e piogge, con maggiori rischi di eventi estremi a carattere alluvionale, un aumento di ondate di calore ed eventi siccitosi. In altre parole, piove più intensamente ma meno frequentemente. Chiaramente, fenomeni come quelli descritti sopra possono avere molti effetti su vari settori della società, come agricoltura, disponibilità e gestione delle risorse idriche, rischio di eventi catastrofali, salute pubblica, turismo ecc. A rendere le cose più difficili sta il fatto che questi effetti non sono sentiti in maniera uniforme da tutti, ma sono altamente variabili dal punto di vista geografico. In particolare, i Paesi in via di sviluppo sono i più colpiti e vulnerabili e questo può esasperare differenze economiche e tensioni politiche già esistenti. Inoltre, il fenomeno del riscaldamento globale va visto nel contesto di altri stress ambientali importanti, come l’inquinamento di aria e acqua, la deteriorazione del suolo dovuta a una urbanizzazione a volte selvaggia, la deforestazione, la distruzione di ambienti costieri e così via.

Non va poi dimenticato che un riscaldamento intenso, protratto per qualche centinaio di anni, potrebbe portare a fenomeni semi-irreversibili (i cosiddetti punti di non¬ritorno), come lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia e di alcune zone dell’Antartide (per cui il livello del mare potrebbe salire di oltre 10 m), la scomparsa della foresta amazzonica o il collasso della circolazione profonda oceanica, con profonde ripercussioni sul clima. Quello del riscaldamento globale è un problema che, se non affrontato in maniera adeguata, potrebbe avere effetti molto gravi sullo sviluppo sostenibile della società umana. L’essenza del dibattito dovrebbe concen¬trarsi sulla stabilizzazione della quantità di gas serra in atmosfera al di sotto della cosid-detta “soglia di pericolo”, livello oltre il quale gli effetti del riscaldamento globale sarebbero insostenibili, o sostenibili a un costo troppo alto per la società. Questa soglia è stata iden¬tificata in un riscaldamento di 2° rispetto ai valori pre-industriali, cioè circa 1° rispetto ai valori attuali e corrispondente a circa 450¬500ppm di Co2 nell’atmosfera. Considerando che il livello attuale è 400ppm, è evidente l’urgenza di prendere misure adeguate. Per stabilizzare le quantità di Co2 in atmosfera bisogna ridurne le emissioni, ovvero ridurre l’uso di combustibili fossili di circa il 20% en¬tro il 2020 e circa il 60-70% entro il 2050. Stiamo parlando di una riconversione energetica verso un sistema a basso uso di carbonio che richiede l’adozione di una serie di politiche concomitanti. L’aumento dell’efficienza energetica è la più efficace a breve termine; basti pensare che oggi sprechiamo circa il 50-60% dell’energia durante la produzione, il trasporto e l’uso stesso dell’energia. Altre politiche riguardano il maggiore uso di fonti energetiche rinnovabili, la riforestazione e la cattu¬ra di Co2 nel suolo.

La stabilizzazione delle concentrazioni di Co2 sui 450ppm costereb¬be circa 4-5 punti percentuali del Pil globale entro il 2050; un costo certamente sostenibile se consideriamo che il Pil globale cresce di qualche punto percentuale ogni anno e che, quindi, la crescita del Pil globale si ridurrebbe solo di 1-2 anni. Quindi, quello del riscal¬damento globale è un problema scientifico e tecnologico, ma soprattutto politico.

Il tanto atteso accordo internazionale di Parigi per la riduzione delle emissioni di gas serra è molto difficile, perché pone grandi problemi sulle responsabilità e gli obblighi di Paesi economicamente sviluppati, Paesi emergenti e Paesi ancora molto poveri. La speranza è quindi che a fornire l’impulso per affrontare una delle grandi sfide del XXI secolo sia una spinta dal basso, attraverso una maggiore coscienza del problema, una maggiore educazione alla salvaguardia dell’ambiente e maggiori investimenti nella green economy.

(pubblicato sul numero di maggio della rivista Formiche)

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