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Cosa finanzierà (forse) il piano Juncker

Settembre sarà il mese decisivo per il piano Juncker, anche in chiave italiana. Prima di sapere qualcosa di più preciso sulle opere italiane finanziabili e sull’ammontare delle risorse destinate a progetti nazionali, come da indiscrezioni circolate nei giorni scorsi sul Sole 24 Ore, toccherà aspettare almeno i primi giorni del mese, quando è fissato l’incontro tra i nuovi vertici della Cassa Depositi e Prestiti e i manager della Banca Europea degli Investimenti per parlare (anche) dei primi progetti nazionali che potrebbero essere finanziati dal Fondo Europeo Investimenti Strategici (FEIS), lo “scrigno” immaginato dalla Commissione Juncker per mettere a sistema e rilanciare un approccio agli investimenti che in realtà ha iniziato a prendere forma negli ultimi anni della commissione Barroso II. Sempre a settembre sarà nominato, dopo un’audizione presso il Parlamento europeo, il direttore generale del FEIS, figura centrale della governance a tre del Fondo su cui si estendono le mire dei tedeschi.

Si tratta di un ruolo chiave perché farà da raccordo tra la testa “politica” del comitato direttivo – nominato il 22 luglio, con tre esperti della Commissione e uno della BEI – e il braccio operativo del comitato degli investimenti, ovvero il pool di otto esperti indipendenti che valuteranno concretamente i progetti. In queste settimane, un team congiunto BEI-Commissione sta esaminando le domande e nei primi giorni di settembre sarà pronta una prima lista dei candidati tra cui selezionare gli otto membri del comitato. Alla fine del mese, il 28, il vicepresidente della Commissione europea Jyrki Katainen volerà a Pechino per riprendere il filo del dialogo con le autorità cinesi, che hanno espresso a più riprese la volontà di partecipare al FEIS.

SFOGLIANDO LA MARGUERITE

Per avere un’idea di quali opere potranno essere finanziate e di come le banche nazionali di promozione quali la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), possano interagire per creare nuove piattaforme per gli investimenti, si può guardare al Fondo Marguerite (http://www.marguerite.com). Nato nel 2010 dopo due anni di gestazione, combina il principio di mercato del ritorno economico per gli investitori con finalità pubbliche, come la realizzazione di grandi infrastrutture. Vede la partecipazione di CDP, BEI e delle banche nazionali di promozione francese, spagnola, tedesca e polacca. Ha investito per oltre 700 milioni di euro in megaprogetti su energie rinnovabili, autostrade e aeroporti in tutta Europa. Anche in Romania, Irlanda e Croazia, paesi le cui banche non partecipano al Fondo, e non (ancora) in Italia. Ma l’aspirazione del FEIS, e in questo acquista significato la mediazione della BEI e delle banche nazionali di promozione (BNP), è proprio quella di funzionare senza gli automatismi dei tradizionali programmi europei, per cui se uno Stato dà risorse si aspetta di ricevere in proporzione. Il ragionamento è che se si investe in progetto perché è valido e non per ragioni politiche o diplomatiche, comunque esso darà un suo ritorno agli investitori, cioè alle BNP e quindi ai paesi che vi hanno indirettamente investito. D’altra parte quasi tutti i nove governi, tra cui quelli italiano, che hanno contribuito al FEIS lo hanno fatto sono principalmente attraverso le rispettive Banche nazionali di promozione. Il disaccoppiamento tra progetti e interessi nazionali diretti è l’auspicio della Commissione europea. Ma va tenuto conto che le vie delle cancellerie per fare pressione su Bruxelles sono potenzialmente infinite.

I PASSI GIÀ FATTI E QUELLI DA FARE

Dopo settembre la strada dovrebbe essere spianata per avere il FEIS operativo in tutte le sue componenti – governance, polo europeo di consulenza sugli investimenti e portale dei progetti di investimento europei – nel giro di un paio di mesi. Ma il FEIS è in qualche modo già in funzione. Lo avevano chiesto i Capi di Stato dei Ventotto nel Consiglio europeo di dicembre 2014 e il sostegno della BEI è arrivato a progetti già selezionati, come il programma di ammodernamento del gruppo Arvedi, con un finanziamento fino a 100 milioni annunciato in aprile. Al FEIS fanno riferimento anche l’accordo siglato il 16 luglio scorso tra FEI (fondo europeo degli investimenti) e il Gruppo Banca Popolare Emilia Romagna a favore delle piccole e medie imprese innovative e quello del 3 agosto tra FEI e Credito Emiliano Spa sotto il programma COSME, sempre a sostegno delle PMI.

 

L’ADDIZIONALITA’ (SPERATA)

Ma allora, a che serve il FEIS? Qual è la differenza rispetto alle iniziative già finanziate dalla BEI e perché tante aspettative sul piano Juncker? A Bruxelles la chiamano “addizionalità”: il FEIS fornirà garanzia per investimenti più rischiosi o radicalmente innovativi. Così, per esempio, il FEI continuerà a finanziare le PMI come ha sempre fatto, ma la garanzia del FEIS, assicurano da Bruxelles, consentirà di farlo su scala più ampia, in tempi più rapidi e per aziende dal profilo più innovativo.

CAPITALI NON EUROPEI

Il FEIS dovrebbe avere un altro valore aggiunto: la sua dimensione dovrebbe consentire di attrarre capitali extraeuropei di una certa entità. Per ora, è la Cina ad aver mostrato in modo più aperto il suo interesse per partecipare al FEIS. Il vice-presidente della Commissione europea Jyrki Katainen continuerà il dialogo durante la sua visita a Pechino prevista per il 28 settembre. Per il resto, “gli incontri sono stati molti”, dice una fonte della Commissione. Ci sarebbe l’interesse del governo canadese e nel mirino ci sono “i soliti sospetti”, ovvero le economie emergenti e i paesi del Medio Oriente dotati di grande liquidità.

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