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Perché lo yuan ballerino toglie fiducia ai mercati. Report Amundi

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La svalutazione dello yuan cinese, lo scorso 11 agosto, ha innescato la sfiducia sui mercati, che ha accelerato solo nelle ultime sedute. Con il brusco rallentamento dell’economia cinese e il calo dei prezzi delle materie prime, i timori di un crollo della crescita globale e l’intensificarsi delle pressioni deflazionistiche sono tornati drammaticamente alla ribalta. Come interpretare tali avvenimenti?

In Cina, prosegue il rallentamento dell’economia in particolare nel settore manifatturiero. La decisione delle autorità di svalutare il renminbi (RMB) nei confronti del dollaro ha risvegliato i timori di un hard landing dell’economia e una “guerra valutaria” che innescherebbe nella regione un circolo vizioso di svalutazioni competitive. La trasparenza e la credibilità della politica macroeconomica della Cina sono state chiaramente intaccate dalle decisioni prese durante l’estate, dando l’impressione che le autorità abbiano agito in fretta, perdendo il controllo della situazione.

Riteniamo che queste preoccupazioni siano eccessive per almeno due motivi:

-Lo sganciarsi del RMB dal dollaro USA è stato dovuto in gran parte al fatto che la situazione era diventata insostenibile. Infatti, dalla scorsa estate, il tasso di cambio effettivo del RMB si è apprezzato di quasi il 15% rispetto al dollaro. Il nuovo regime monetario mira soprattutto ad impedire che l’economia cinese perda ulteriormente terreno in termini di competitività, all’apprezzarsi del dollaro USA. Questo spiega il motivo per cui il recente deprezzamento del RMB è rimasto modesto (-3% rispetto al dollaro). L’obiettivo primario (nel medio termine) delle autorità resta il riequilibrio della regime di crescita della Cina a favore dei consumi delle famiglie. Ma un forte deprezzamento della moneta non sarebbe compatibile con il perseguimento di questo obiettivo.

-L’attuale rallentamento della produzione industriale è inevitabile dal momento che è il risultato dell’eccesso di capacità produttiva. D’altra parte, non c’è ragione per cui i consumi delle famiglie cinesi debbano collassare, fatto che dovrebbe attutire il colpo e quindi impedire un hard landing.

• Il calo dei prezzi delle materie prime e delle valute grava pesantemente su molte economie emergenti. I prezzi del petrolio (Brent) sono scesi al livello più basso dall’inizio del 2009. I metalli industriali hanno registrato un calo molto brusco. Il rallentamento della produzione in Cina, primo importatore mondiale di questi prodotti, spiega gran parte di questo calo dei prezzi. Questi sviluppi deteriorano la situazione economica dei paesi esportatori (soprattutto economie emergenti), innescando a loro volta il crollo delle valute. I timori sul ritmo del deprezzamento del RMB hanno incrementato la diffidenza verso le economie emergenti. Dato l’attuale contesto, le principali economie emergenti sono destinate ad indebolirsi e la crescita globale rallenterà.

• Al contrario, nelle principali economie avanzate, si osserva una dicotomia tra i settori domestici (servizi) «protetti» e il settore manifatturiero, più esposto alla concorrenza internazionale. È il settore manifatturiero che sta subendo maggiormente i timori sulla crescita globale. Tuttavia, non vi è alcuna ragione, in questa fase, per una revisione al ribasso della crescita interna.

L’esposizione commerciale delle principali economie avanzate verso la Cina – e l’Asia nel suo complesso – non è abbastanza forte per far deragliare la crescita globale. Si dovrebbe comunque tener presente che il rapido apprezzamento dell’euro e dello yen (4% e 6%, rispettivamente, in termini commerciali dall’inizio di agosto) peserà sugli utili societari, anche se la domanda interna regge.

Le politiche economiche unite ai bassi prezzi delle commodity dovrebbero tuttavia contribuire a stabilizzare il ciclo economico.

In Cina, la politica monetaria sarà ulteriormente allentata. Inoltre, se necessario, le autorità potrebbero varare ulteriori stimoli fiscali, in particolare nell’eventualità di indebolimento dei consumi delle famiglie.

Negli Stati Uniti, l’inflazione non è una minaccia e la Fed potrebbe temporeggiare e posticipare l’inizio del rialzo dei tassi.

Nell’Eurozona, la BCE non esiterà, se necessario, ad estendere il programma di acquisti alle obbligazioni societarie nel tentativo di: 1) mantenere condizioni monetarie e finanziarie accomodanti 2) ancorare le aspettative di un Euro debole.

– Infine, da sottolineare che il calo dei prezzi delle commodity (nei paesi importatori, vale a dire la maggior parte dei paesi sviluppati) e delle valute (nei paesi emergenti) dovrebbe svolgere un ruolo di stabilizzazione nel 2016.

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