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Le sacrosante stilettate di Renzi a D’Alema

Ha ragione Matteo Renzi quando, nell’intervista al Corriere della Sera, ricorda a Massimo D’Alema che se avesse fatto, da presidente del Consiglio, le riforme del mercato del lavoro attuate in quegli stessi anni da Tony Blair e, soprattutto, da Gerard Schroeder, in Italia il Jobs Act ci sarebbe da vent’anni. D’Alema, invece, non seppe e non volle sfidare Sergio Cofferati e regalò ai sindacati, nel 1998, un inutile Patto di Natale (oggi dimenticato da tutti) rigonfio di aria fritta, facendolo pure votare dal Parlamento. La superfetazione della concertazione con vuoto a perdere.

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Secondo la proprietà transitiva se A è uguale a B e B a C, anche A è uguale a C. Applicando questa elementare proprietà alla politica, viene naturale sostenere quanto segue: se la confraternita Buzzi-Carminati era mafiosa e se, come dicono in Procura, si era impadronita della vita pubblica della Capitale, anche il Comune di Roma non poteva non essere infiltrato dalla Mafia. Rovesciamo il discorso: se nel caso dell’Amministrazione capitolina non vi sono gli estremi dello scioglimento, ciò dovrebbe significare –  a rigor di logica –  che la consorteria ‘’de noantri’’ era criminale ma non mafiosa.

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Nei ‘’Promessi sposi’’, Alessandro Manzoni racconta che il Principe di Condè riuscì a prendere sonno nella notte precedente la battaglia di Rocroi. Anche Ignazio Marino è riuscito a rimanere in vacanza negli Usa mentre su Roma piovevano pietre. Il fatto è che nella celebre battaglia (19 maggio 1643) il giovane condottiero francese sconfisse l’esercito spagnolo. Marino è ormai un sindaco dimezzato.

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Anche Elsa Fornero si è iscritta al partito di chi vuol cambiare la sua riforma rendendo più flessibile (e quindi anticipando) l’età del pensionamento. E’ pentita o si è arresa?

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Anche adottando una penalizzazione economica (peraltro rifiutata dai sindacati) per chi si avvalesse della flessibilità in uscita, aumenterebbero, a seguito dell’abbassamento del requisito anagrafico (il vero obiettivo delle modifiche), il numero dei pensionati e, quindi, la spesa pensionistica, che è pur sempre la sola quota di spesa pubblica cresciuta durante gli anni della crisi: di 28 miliardi dal 2010, nonostante i tagli (mentre quella totale è diminuita di 24 miliardi).

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