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Cosa cambia in Libia per Egitto e Italia dopo la scoperta dell’Eni

Cambierà gli equilibri energetici nel Mediterraneo e forse qualcosa di più. L’annuncio, domenica scorsa, da parte di Eni, della scoperta d’un maxi giacimento offshore di gas in Egitto avrà pesanti ripercussioni geopolitiche, come sempre accade quando si parla di idrocarburi. Riverberi che forse sono già giunti nella vicina Libia, dove tanto Roma quanto Il Cairo recitano un ruolo fondamentale. La situazione non è ad ogni modo serena: l’ala libica dello Stato Islamico ha rivendicato l’esplosione di ieri di un’autobomba in prossimità degli edifici che ospitano il Cane a sei zampe a Tripoli.

IL MAXI GIACIMENTO

Zohr, questo il nome del sito, ha numeri da capogiro: secondo gli esperti potrebbe avere un potenziale fino a 850 miliardi di metri cubi di oro blu in posto e rappresentare quindi una delle maggiori scoperte di gas a livello mondiale, situata in un permesso detenuto dal Cane a sei zampe al 100%.

IL RAPPORTO CON L’EGITTO

Questo rinvenimento impatterà anche – forse soprattutto – sull’Egitto, garantendogli una preziosissima indipendenza energetica; avendo un effetto positivo su stabilità e occupazione (come previsto oggi dal primo ministro Ibrahim Mahlab); e, come ritorno collaterale, cementando ancora di più la relazione speciale che la Penisola e il Paese guidato dal presidente Abdel Fattah Al Sisi sono tornati a coltivare da qualche tempo. Un rapporto che si traduce in intese economiche – dall’energia alle pmi, passando per gli investimenti e i mastodontici lavori per l’ammodernamento del Canale di Suez – ma che potrebbe spostarsi a poco a poco anche sul versante strategico.

GLI SCHIERAMENTI IN LIBIA

In Libia le due macro-fazioni che si contendono il Paese sono sostenute da un lato da Turchia e Qatar e dall’altro da Egitto ed Emirati Arabi Uniti. I primi sostengono il vecchio parlamento, il Gnc; i secondi Tobruk, la nuova assise riconosciuta dall’Occidente. “Finora – spiega Cinzia Bianco, analista esperta di Medio Oriente e Mediterraneo per la Nato Defense College Foundation – l’Italia ha provato a tenere un atteggiamento equidistante, che le ha consentito di essere per lungo tempo l’unica ambasciata “di peso” ancora aperta nel Paese” e che permette ancora oggi al Cane a sei zampe di essere l’unica compagnia petrolifera estera ancora attiva nel Paese. “Questa posizione, però, inizia a vacillare, anche in virtù dei crescenti rapporti con Abu Dhabi” e, sempre più, anche col Cairo.

LA REAZIONE MEDIORIENTALE

D’altronde, prosegue l’esperta, la notizia della scoperta del maxi giacimento “ha avuto in Medio Oriente un’eco fortissima, decisamente maggiore rispetto a quella pur ampia riscontrata in Occidente“. Ma con quale reazione? “Il mondo arabo è estremamente variegato e si va da un’opinione positiva del ruolo straniero nel sostenere la crescita, a quello che vede negli occidentali e nelle loro aziende delle forze neocoloniali, intenzionate solo a predare le risorse di alcuni Paesi“.

L’ATTENTATO A MELLITAH

Troppo poco, aggiunge ancora l’analista, per mettere in connessione diretta l’annuncio di Eni con l’attentato con un’autobomba rivendicato dai drappi neri e avvenuto ieri nel tardo pomeriggio nel centro di Tripoli, di fronte a una sede della Mellitah Oil and Gas, joint venture del Cane a sei zampe e della compagnia nazionale petrolifera della Libia, la Noc. Ma abbastanza per segnalare un sentimento presente nella regione e anche nell’ex regno di Muammar Gheddafi. E per delineare un rafforzamento della posizione egiziana nel Paese e non solo.

IL RAFFORZAMENTO EGIZIANO

“Non penso – dice Cinzia Bianco – che l’attacco di ieri sia stato un avvertimento all’Italia  per la sua relazione con l’Egitto, piuttosto il segno di un nazionalismo montante, che trova spesso sfoghi anche nel mondo jihadista. In questo senso, la scoperta del giacimento da parte dell’Eni e i benefici economici che ne deriveranno, contribuiscono da un lato a fare il gioco di chi sparge odio ideologico nei confronti delle multinazionali e a volte dei Paesi dal quale provengono; dall’altro però, ha come effetto quello di rafforzare Il Cairo come potenza regionale e, dunque, l’asse Sisi-Haftar-Abu Dhabi che sostiene Tobruk. Se a questo si aggiunge che i negoziati Onu condotti dall’inviato speciale Bernardino Leon stanno avendo un’accelerazione dettata proprio dai crescenti timori occidentali per il rafforzamento dei drappi neri a Sirte, si capisce perché il fatto che l’Egitto sia apertamente schierato nella lotta al terrorismo ne eleva lo status e lo rende un partner sempre più fondamentale per i governi del Vecchio Continente, anche in Libia”.

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