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Chi sono i legislatori occulti sul nuovo Senato?

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La fonte è insospettabile. E’ il responsabile del Partito Democratico per le riforme e deputato di fede renziana Emanuele Fiano, che è stato alla Camera relatore del disegno di legge sul nuovo Senato, arrivato ora al secondo passaggio parlamentare di Palazzo Madama. Dove il governo rischia di essere battuto nell’inevitabile votazione – salvo improbabili e veri ripensamenti del presidente Pietro Grasso – sullo spinosissimo articolo 2, modificato a Montecitorio con una proposizione rivelatasi galeotta. Essa sancisce l’elezione dei cento esponenti del nuovo Senato da parte e non più nei Consigli Regionali, come stabilito in prima battuta dai senatori.

Fiano ha raccontato che quella modifica “fu una richiesta del Servizio Studi della Camera”, motivata con la necessità di “risolvere un margine di ambiguità” derivante dal fatto che i senatori, se eletti nei anziché dai Consigli Regionali, potrebbero rimanere in carica anche oltre la durata degli stessi Consigli eventualmente sciolti anticipatamente

Il Servizio Studi è un ufficio della Camera, non certo dotato di potere legislativo. Eppure Fiano ha detto – chissà perché – che “non potevamo dire di no” ai funzionari di Montecitorio. Fra i quali, peraltro, è stato inutile ogni tentativo di individuare il responsabile specifico. “La discrezione dei funzionari – ha scritto sul Corriere della Sera Alessandro Trocino dopo la rivelazione di Fiano – è leggendaria. Di interviste non se ne parla e nessuno se ne assume la responsabilità”. Testuale, niente di inventato o forzato.

Ciò che non ha aggiunto Fiano ha però detto il senatore Luciano Pizzetti, anche lui del Pd, sottosegretario della ministra delle riforme e dei rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi. “In realtà – ha raccontato – c’era un’altra norma” della riforma “che ovviava al problema dei tempi” sollevato dai funzionari della Camera, per cui la modifica è stato “uno scempio”, viste le complicazioni create sul percorso della legge. “Una modifica – ha detto ancora il sottosegretario – priva di senso logico e bizzarra”, consentita tuttavia da un governo e da una maggioranza a dir poco sprovveduti.

Non mancano naturalmente i maliziosi, convinti andreottianamente che a pensare male si faccia peccato ma s’indovini, per cui qualcuno ha immaginato dietro la richiesta dei funzionari del Servizio Studi della Camera la manina o la parolina di qualche collega del Senato interessato, per convinzione o convenienza, a far saltare il ridimensionamento del secondo ramo del Parlamento. Che fra qualche giorno, in effetti, con una bocciatura dell’articolo 2 ad opera congiunta delle opposizioni e dei dissidenti del Pd, potrebbe avere l’occasione di fare saltare l’elezione indiretta del Senato, e provocare una battuta d’arresto rovinosa per i progetti e per la stessa sopravvivenza del governo.

Questo, tuttavia, non è e probabilmente non sarà neppure l’ultimo caso di un potere legislativo esercitato non dai parlamentari che lo detengono ma da funzionari che riescono a influenzarli. Fu proprio Giulio Andreotti, indulgente con i maliziosi, che affidandosi alla sua memoria di costituente e documentandosi con lo studio degli atti parlamentari in occasione del primo referendum elettorale, svoltosi nel 1991, quando egli era presidente del Consiglio, sollevò un velo scandaloso sull’articolo 75 della Costituzione.  Che non ammette il referendum “per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”.

In verità, l’Assemblea Costituente, approvando un emendamento al testo votato nella commissione preparatoria presieduta da Meuccio Ruini, aveva sapientemente aggiunto la legge elettorale a quelle precluse ai referendum abrogativi, temendo che le Camere si potessero trovare nella paradossale impossibilità di essere rinnovate. Ma in sede di “coordinamento” tecnico, previsto per correggere eventuali errori di grammatica, o ripetizioni, o contraddizioni, i funzionari omisero la variazione, senza che nessuno se ne accorgesse, o volesse accorgersene, se non Andreotti dopo più di quarant’anni. Troppo tardi perché vi si potesse riparare, neppure da parte della Corte Costituzionale, che ammise il referendum elettorale del 1991 e tutti quelli successivi, destinati a incidere moltissimo nella storia politica e istituzionale della Repubblica.

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