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Caldarola: che cosa penso, da ex dalemiano, del nuovo D’Alema-pensiero

Che cosa pensa un ex dalemiano come Peppino Caldarola, giornalista, saggista ed ex direttore dell’Unità dell’intervista di oggi di Massimo D’Alema al Corriere della Sera in cui bistratta tra l’altro i suoi ex collaboratori confessando di provare tristezza per questa sorta di tradimento?

Ecco come Caldarola ha chiosato il D’Alema pensiero rileggendo l’intervista dell’ex premier.

“Sono appena tornato dall’Arabia Saudita, e sono rimasto colpito dalla percezione terribile dell’Europa: un continente diviso, preda di febbri populiste, incapace di governare un’emergenza in cui abbiamo anche noi le nostre responsabilità. (…) Quando ci fu la crisi in Kosovo, non facemmo nessun vertice: ci parlammo al telefono.  (…) Non si videro barconi. Nessuno affogò. Ma era un’altra Europa. Con valori comuni”. Secondo lei il paragone di D’Alema della situazione in Kosovo con quella di oggi è valida?

Quella è una stagione che non c’è più. Un’Europa fatta di meno summit e più contatti non è più possibile e la ragione è la mancanza di leadership. L’unica personalità coraggiosa è anche l’unica criticata: Angela Merkel. La politica europea francese è debole, Renzi si barcamena. È venuto meno il fascino del progetto iniziale e così populismo e xenofobia sono dilagati dappertutto.

D’Alema afferma che la sinistra populista non deve essere confusa con il populismo: “Podemos non ha nulla a che vedere con i gruppetti estremisti”.

Questa è in effetti una novità nel ragionamento dalemiano. Prima tutto ciò che si trovava alla sua sinistra era visto come non positivo, seppur D’Alema ci abbia sempre trattato. Ora sembra guardi al radicalismo politico come importante interlocutore per la risoluzione della disuguaglianza sociale. Apre a sinistra per strategia. E forse anche per una nuova cultura dalemiana.

Cazzullo nell’intervista torna al suo non anti berlusconismo e D’Alema risponde che “raffigurare la storia italiana come se berlusconismo e antiberlusconismo si fossero annullati in una litigiosità inutile, senza produrre nulla, è una raffigurazione falsa”. Ma qual è la vera differenza tra il non antiberlusconismo dalemiano e quello renziano?

Totale. D’Alema non ha mai negato il contrasto fra berlusconiani e antiberlusconiani, semmai ha distinto fra questi ultimi: gli antiberlusconiani riformisti opposti a quelli giustizialisti dai quali
si è sempre dichiarato lontano e che l’hanno sempre demonizzato. Ha sempre riconosciuto che Berlusconi fosse un fenomeno del popolo e non una maledizione di Dio. Renzi non riconosce nulla, pensa che la storia cominci da lui e che questa sia un fastidio di cui liberarsi. Dà torto ai berlusconiani come agli anti; li considera alla pari, al contrario di quanto faceva D’Alema. Renzi non è identificabile, D’Alema è un uomo della sinistra.

Quale sinistra?

La sinistra riformista che in Italia ha un target preciso: il mondo socialista che comprende aree del partito comunista e quindi del riformismo emiliano. Lui è di quella sinistra social-democratica che rivendica a tutti i costi una storia. E lo ha detto: “Renzi dovrebbe riconoscere quel che ha avuto in eredità”.

Quando Cazzullo chiede a D’Alema se il Pd sia a rischio scissione, lui risponde: “Il Pd è a un bivio. O ricostruisce il centrosinistra. Oppure crea un listone con il ceto politico uscito dal berlusconismo”. La divaricazione tra la base Pd e Pd renziano è possibile?

Per ora no. La vera scissione non è dentro al Pd ma con l’elettorato Pd ed è una questione di “connessione sentimentale”, per dirla in maniera gramsciana, cara a Nichi Vendola.

Ma è possibile una coabitazione?

Basta pensare al Partito Democratico americano. D’Alema non farebbe mai quanto fatto da Fassina e Civati. Il vero problema del partito di Renzi è che molta parte del mondo di
sinistra non trova elementi della propria vita nel Pd. Un milione e 300 mila elettori in meno ne sono la testimonianza.

Ma i Fassina e i Civati potrebbero diventare i nuovi Podemos italiani “spalleggiati” da D’Alema?

No. Una eventuale nuova area radicale deve essere guidata da leader nuovi, come successo per Syriza e Podemos. È vero che Renzi tratta la base Pd a pesci in faccia, ma questa tratta Renzi come un infiltrato Pd. Eppure la verità è che i vari Fassina, Civati e Landini, una volta usciti non sanno dove andare.

Quindi?

La situazione del campo di battaglia è singolare: i due eserciti della sinistra hanno entrambi bisogno dell’avversario Berlusconi. La sinistra per battere Renzi e Renzi per battere la sinistra. E Berlusconi ne gode. Curioso no?

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