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Perché è cosa buona e giusta parlare di intelligence e interesse nazionale

Per gentile concessione di Aracne editrice pubblichiamo un breve estratto dalla prefazione del libro “Intelligence e interesse nazionale” a cura di Umberto Gori e Luigi Martino

In un volume di quasi 15 anni fa — L’intelligence nel XXI secolo — che riporta gli Atti del Convegno internazionale di Priverno cui ha contribuito l’Università di Firenze, Vincenzo Scotti, già Ministro dell’Interno della Repubblica, scriveva nell’Introduzione:

Una buona intelligence non è formata soltanto da professionisti esperti nel raccogliere informazioni segrete, analizzarle in modo adeguato e intervenire per bloccare o contenere iniziative terroristiche o destabilizzanti, ma ha bisogno anche di un lavoro più ampio e articolato di ricerca e di analisi che Università e Centri specializzati sviluppano avvalendosi soprattutto di fonti cosiddette aperte. Ma nel nostro Paese non vi è una adeguata e diffusa pratica di tali ricerche presso le nostre Università se si escludono lodevoli eccezioni che operano con non piccole difficoltà e in un ambiente che guarda con grande diffidenza a questo tipo di studi soprattutto se finalizzato allo specifico lavoro d’intelligence.

Poco più di un anno prima, il Presidente Mattarella, allora Vice Presidente del Consiglio con delega ai Servizi Segreti — come ricordava opportunamente il Prefetto Adriano Soi in un recente numero di «Formiche» — sosteneva che solo la diffusione della cultura dell’intelligence avrebbe consentito di superare le vecchie diffidenze nei confronti dei Servizi di informazione. A sua volta, il Senatore Minniti, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, ha sostenuto, in occasione del Convegno della SISP (Società Italiana di Scienza Politica) del 2013, che “in una democrazia del XXI secolo, l’intelligence ha bisogno delle competenze, dell’apertura mentale e del profilo culturale dell’intero mondo universitario: non soltanto dei docenti ma anche degli allievi e dei ricercatori”. A queste lungimiranti e in parte preesistenti idee si è adeguata di recente la politica istituzionale della comunità d’intelligence italiana.

A titolo di esempio, il DIS (Dipartimento Informazioni per la Sicurezza della Repubblica) ha intrapreso la strada della collaborazione con vari Atenei, firmando convenzioni come è accaduto a Firenze per l’istituzione di un Corso di Perfezionamento in “intelligence e sicurezza nazionale” presso la Scuola di Scienze politiche “Cesare Alfieri”. Quindi anche in Italia il rapporto fra comunità d’intelligence e Università e centri di ricerca si sta a poco a poco sviluppando, anche se con sacrifici non indifferenti dovuti ad una pressoché totale assenza di investimenti presenti invece in abbondanza in altri Paesi con in testa gli Stati Uniti. Anche per quanto riguarda le assunzioni di laureati, siamo ancora ben lontani dall’utilizzo di questi ultimi che sin da tempi lontani ne fece, ad esempio, Sir Francis Welsingham, ai tempi di Elisabetta I, che reclutava i suoi agenti fra i migliori studenti di Oxford e Cambridge; o da come faceva Edgar Hoover che imponeva ai suoi agenti di laurearsi (la cd Hoover University).

Gli scritti che qui sono raccolti si riferiscono ai panel che, nel 2013 e 2014, si sono tenuti nel quadro di due Convegni della SISP, il primo dedicato a Intelligence, globalizzazione: il caso Italiano e il secondo a Intelligence e interesse nazionale. Queste due iniziative non nascono però dal nulla. Già da almeno due decenni nell’Ateneo fiorentino ci occupiamo dei problemi e delle metodologie dell’intelligence. Ne fanno fede i curricula universitari, le numerose tesi di laurea in Università e in Accademia Navale e i Corsi per Ufficiali dell’Aeronautica Militare.

I panel, inseriti nella sezione “Relazioni Internazionali”, hanno affrontato svariati temi come gli scenari internazionali e loro prospettive, le minacce alle infrastrutture critiche, la sicurezza cibernetica, l’intelligence economica, lo spionaggio economico e finanziario, le politiche energetiche, i flussi migratori, la cyber intelligence, l’intelligence basata sui social media, gli investimenti, i pericoli della moneta virtuale, le metodologie di controintelligence e i fallimenti dell’intelligence.

In particolare, l’attenzione si è concentrata sul quadro geopolitico internazionale caratterizzato da forte instabilità, minacce, rischi e pericoli e su quali debbano essere gli interessi nazionali e gli obiettivi perseguiti dalla politica estera dell’Italia. Si è cercato infine di capire se può esistere un interesse comune europeo e quali siano le sfide di fronte alle quali potrà trovarsi l’Italia soprattutto nell’area del Mediterraneo.

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