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Non vogliamo morire in Siria, dice un soldato russo

Un gruppo di contractors militari russi s’è rifiutato di prendere parte alla missione di sostegno al governo siriano ordinata da Mosca. Il sito d’informazione Gazeta.ru ha raccolto le testimonianze dei militari che adesso rischiano una pena durissima che può arrivare fino a 20 anni di carcere.

I kontraktniki, cioè non militari di leva, si lamentano del fatto che il loro schieramento sul campo di battaglia siriano, non era supportato da documentazioni ufficiali d’ingaggio, dunque la loro missione sarebbe stata clandestina e quindi senza garanzie anche per le famiglie a casa (cioè, in caso di morte o ferimenti gravi, non avrebbero preso un rublo dallo stato).

Gazeta.ru ha indagato la vicenda, e ha scoperto che una ventina di militari tra i migliori delle unità presenti in Siberia erano stati convocati nella base militare di Novorssiysk, sul Mar Nero. L’unità improvvisata è stata preparata per andare in missione in un “paese più caldo della Russia e con i serpenti”, così gli avevano detto i superiori: poche le regole sui loro compiti, non sapevano nemmeno la data prevista per il rientro. Hanno ricevuto armamenti bypassando i vari step amministrativi, rimosse le insegne, e caricato veicoli senza codice identificativo di notte su una nave. Credevano che sarebbero stati mandati nel Donbass ─ la zona dell’Ucraina orientale dove la Russia supporta i separatisti attraverso operazioni in incognito ─ ma invece il giorno prima di partire (il 16 settembre), un uomo dello Stato Maggiore arrivato a Novorssiysk, ha detto loro che la destinazione sarebbe stata la Siria, esattamente Latakia. Un ‘assegnazione segreta, secondo il racconto dei militari, che non escludeva la partecipazione in operazioni di combattimento: l’ufficiale si sarebbe rifiutato di accettare le obiezioni sulla legittimità della missione e non avrebbe risposto alle domande sulla pianificazione. A quel punto, senza la presenza di un ordine scritto del governo sulla loro missione, i kontraktniki si sono rifiutati di partire e hanno presentato rimostranze formali all’ufficio del procuratore generale locale, denunciando la mancanza di diritti garantiti. «Noi non vogliamo andare in Siria, non vogliamo morire lì» ha detto uno dei militari al sito russo.

L’avvocato Ivan Pavlov, che fa parte del gruppo Komanda-29 ─ un’organizzazione giurisprudenziale che segue casi di diritti umani in Russia, ispirata all’articolo 29 della Costituzione russa che recita «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero e di parola» ─ si sta occupando della vicenda dei militari, che ancora non sono stati incriminati ufficialmente ma rischiano l’accusa di tradimento. Sentito dal sito d’informazione Daily Beast, ha detto che l’uscita dell’inchiesta giornalistica è stata per il momento la salvezza dei soldati, che sono stati rispediti sugli Urali per coprire il più possibile la storia ─ sembrerebbe che alcuni famigliari dei militari abbiano ricevuto pressioni da funzionari governativi per firmare un accordo di non divulgazione dell’accaduto. Il ministero della Difesa di Mosca ha per ora smentito tutto.

La storia, uscita ormai una decina di giorni fa, è importante soprattutto perché dal racconto dei militari alla Gazeta, alcuni contractors sarebbero comunque partiti verso la Siria. Questo invio di truppe è molto simile a quello noto osservato in Ucraina: “i vacanzieri”, come sono chiamati, cioè militari mandati senza consegne ufficiali a combattere e fatti passare come volontari “in vacanza” che intendono difendere i fratelli di etnia russa dall’aggressione del governo di Kiev. Intepreter Magazine, progetto editoriale della no-profit Institute of Modern Russia, ha pubblicato a metà settembre “An Invasion by Any Other Name: The Kremlin ‘ s Dirty War in Ukraine”, una contabilità forense di prove approfondite sulla presenza, e sulla morte, di militari russi in Ucraina.

Secondo le fonti del sito russo, in questo momento ci sarebbero 1700 truppe russe ufficiali in Siria, affiancate da varie unità clandestine: a queste ultime solitamente è affidato il lavoro sporco, che potrebbe prevedere il combattere i ribelli “non-IS” nell’aria di Latakia al di fuori della linea ufficiale di lotta allo Stato islamico e nell’ottica del mantenimento al potere del regime siriano.

@danemblog

 

 

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