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Cosa succede in Siria

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class, pubblichiamo l’analisi di Alberto Pasolini Zanelli pubblicata sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi

Si farà finalmente un vertice russo-americano sulla Siria. Un faccia a faccia vero e proprio. Il mese prossimo a New York. Putin lo proponeva da quasi un anno, Obama nicchiava, Kerry era sempre stato favorevole e lo ha mantenuto in vita, equilibrando l’ostracismo dei falchi repubblicani fatto ancor più urgente dal clima preelettorale. A convincere l’uomo della Casa Bianca sono stati probabilmente sviluppi recenti: prima di tutto le reazioni mondiali all’invasione dell’Europa dall’esodo dal Medio Oriente, con il disagio economico e politico nel nostro vecchio continente, infine il nuovo decisionismo della Russia. Vladimir Putin aveva preannunciato più volte l’esistenza di un suo piano di offrire un contributo russo ai tentativi, diventati ormai frenetici, per mettere in qualche modo sotto controllo l’ondata dei profughi dai paesi più sconvolti dalle guerre civili mediorientali.

Ne aveva parlato con il ministro degli Esteri americano John Kerry in privato, e poi in pubblico in toni alquanto diversi. Aveva alternato i suggerimenti mormorati ai pugni sul tavolo. Adesso ha cucito suggerimenti e programmi in forma ufficiale da una sede remota, ma logicamente e storicamente non estranea: la capitale del Tagikistan, una ex repubblica sovietica collocata a uno dei margini orientali di una crisi di cui gli europei direttamente soffrono gli eventi del fronte occidentale. Ripeterà fra pochi giorni il suo progetto (contenuto e forma) dalla tribuna a New York, senza farsi illusioni, ma convinto che riuscirà almeno a farsi ascoltare e a proporre la sua contro-verità.

Il discorso di Putin, in sostanza, è questo: vedete tutti cosa sta succedendo nell’Europa occidentale e per colpa di chi. Se centinaia di migliaia di siriani e cittadini di altri paesi della regione sono costretti a evadere dalle loro patrie, è perché esse sono sconvolte e flagellate da una guerra che è in corso da almeno quattro anni e che è dovuta a iniziative belliche, attuate fra gli altri dagli Stati Uniti d’America, che hanno destabilizzato mezzo mondo e distrutto le istituzioni nazionali. Se oggi i governi europei si sentono chiamati a intervenire, aprendo o spalancando le proprie porte alle vittime di questa, è perché sono stati loro a cooperare con questi sconvolgimenti. Se centinaia di migliaia di cittadini del Medio Oriente ne fuggono, è per scampare alle sofferenze di una guerra che è un’aggressione terroristica: vengono distrutte delle nazioni, Siria in testa, con l’appoggio politico, economico e militare dell’Occidente e poi si tenta di dare la colpa alla Russia. È accusata di sostenere gli Stati e i governi legittimi di questi paesi.

L’epicentro della crisi è in Siria e noi russi non desisteremo dall’aiutare le legittime istituzioni a Damasco. Perché conosciamo, tutto il mondo vede, le conseguenze che avrebbe la nostra inerzia. Se la Russia non avesse appoggiato la Siria, la situazione sarebbe anche peggiore, simile a quella della Libia, e il flusso di profughi ancora più gigantesco. La guerra civile in corso attorno a Damasco è il teatro più noto di una serie di aggressioni compiute contro lo Yemen, la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan. Di conseguenza i terroristi continuano ad ampliare le proprie azioni in una fascia sempre più larga, che dall’Europa si estende alla Russia, all’Asia centrale (Putin parlava dal Tagikistan) e sudorientale, all’Africa, in un’area che investe e minaccia i cuori delle grandi religioni del mondo, da La Mecca a Gerusalemme.

Questa la denuncia e questa la proposta: una grande alleanza che comprenda i paesi aggrediti dagli estremisti del Califfato e della risorgente Al Qaeda assieme ai loro protettori e sostenitori. Tutti i paesi, Iraq e Siria, la terra curda e la Turchia, la Russia e l’America, secondo confini che lo stesso Putin aveva tracciato pochi giorni fa in un colloquio sullo stesso argomento con il ministro degli esteri americano Kerry, durante un incontro avvenuto nella capitale del Qatar, uno dei paesi che sostengono e finanziano i terroristi.

Un progetto cui Obama sarà chiamato presto a rispondere, anche in sede Onu, ma sul quale difficilmente esprimerà un giudizio positivo, che esigerebbe valutazioni severe anche su paesi come la Turchia, che è invece un alleato cardine nella strategia delle iniziative militari in corso; che vengono gravemente ostacolate da manovre diplomatiche che si potrebbero definire surreali, anche se Putin non ha usato questo sostantivo. Lo sono tuttavia casi come quello dell’aeroporto che viene contemporaneamente utilizzato dagli americani per bombardare basi dell’Isis, e dai turchi per attaccare le milizie curde che hanno fornito finora la più efficace e coerente resistenza all’espansionismo dell’Isis. Ora Putin propone un’alleanza generale di tutti i paesi vittime e bersaglio dei Califfi. La Russia, comunque, continuerà a fare la sua parte, pur conscia che, senza un accordo generale, una difesa efficace è troppo difficile. Mosca non continuerà in ogni caso ad aiutare, anche militarmente, il governo legittimo di Damasco, in attesa che altri governi, a cominciare da quello americano, riconoscano la realtà e mettano fine alla convivenza oggi di fatto.

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