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Alemanno, Fitto & Co. Tutte le assoluzioni silenziate

Se i magistrati sbagliano con accuse che si rivelano spesso sbagliate, dopo avere esposto i malcapitati alla gogna, noi giornalisti non scherziamo ad abusare del diritto di cronaca per un gioco di sponda ancora più grave e ostinato.

Al malcapitato di turno prima o dopo può infatti accadere di vedersi riconosciuta l’innocenza nei tribunali, ma sui giornali che l’hanno processato ancor prima dei magistrati egli non riuscirà mai ad ottenere piena giustizia. La sua assoluzione è destinata o al silenzio o alla classica notizia a una colonna, come si chiama in gergo tecnico quella pubblicata con la minima visibilità.

L’ultima settimana è stata purtroppo da primato in questa singolarissima gara fra gli abusi dei magistrati e quelli della stampa, specie di quella più pronta a scambiare per bavaglio qualsiasi tentativo di separare, come dice sarcasticamente da qualche tempo Luciano Violante, almeno le carriere fra pubblici ministeri e cronisti giudiziari, visto che non si riesce a separare quelle fra toghe inquirenti e giudicanti.

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A distanza di dieci anni dai fatti, di nove dall’avvio delle indagini e di due dalla condanna in primo grado a quattro di reclusione e cinque d’interdizione dei pubblici uffici per una presunta tangente di 500 mila euro ricevuta quando era governatore della Puglia dall’imprenditore Giampaolo Angelucci, figlio dell’attuale deputato Antonio, e sottoposto per quella vicenda a  confische per 6 milioni di euro, Raffaele Fitto è stato assolto con formula piena. “Il fatto non sussiste”, hanno sentenziato i giudici di secondo grado.

Dopo avergli a suo tempo dedicato titoloni e pagine, al pari degli altri giornali, il Corriere della Sera ha relegato la notizia in una pagina molto interna, e alla solita una colonna. Eppure non si risparmia, sempre al pari degli altri giornali, d’intervistare l’attuale deputato e segretario di un movimento chiamato con l’ossimoro di “Conservatori e riformisti”, ma non per farlo parlare della sua via crucis giudiziaria e mediatica, che contribuì a suo tempo alla sconfitta del centrodestra nelle elezioni regionali in Puglia. Interessano di  più i giudizi liquidatori di Fitto sul suo ex capo Silvio Berlusconi. Il quale, dal canto suo, condizionato  dalla cronaca sempre attuale degli abbandoni, non ha trovato né il tempo né la voglia di esprimere al suo ex ministro la soddisfazione per il giudizio d’appello e la solidarietà per i danni nel frattempo subiti.

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All’ex sindaco Gianni Alemanno sono stati finalmente notificati i capi d’accusa per il processone che attende pure  lui il mese prossimo a Roma. Dovrà rispondere di reati certamente gravi come la corruzione e il finanziamento illecito delle sue attività politiche da parte delle cooperative del rosso Salvatore Buzzi e del nero Massimo Carminati, ma non di associazione a delinquere di stampo mafioso. Che, in conformità con il nome assegnato alle indagini e al processo, Mafia Capitale, era l’ipotesi originaria di accusa, molto enfatizzata dall’attuale sindaco, il viaggiatore continuo Ignazio Marino, per distinguere fra i rapporti avuti anche da lui con quelle cooperative e le relazioni del suo predecessore. Ed anche per liquidare come fascisti e topi da restituire alla fogne quelli che gli contestano troppa disinvoltura e approssimazione in una gestione del Comune finita non a caso sotto lo speciale controllo del prefetto di Roma. Che lo stesso Marino peraltro definisce “badante”.

Voi pensate che il ridimensionamento delle accuse ad Alemanno abbia trovato nei giornali un rilievo pari a quello procuratogli dalla versione più grave? Macché. Si è dovuto cercare la notizia, generalmente, fra le righe delle cronache dedicate al rinvio a giudizio dell’ex sindaco.

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Ha appena ottenuto giustizia, con il pieno proscioglimento, senza cioè arrivare neppure al processo in aula, l’ex vice capogruppo dell’allora Pdl alla regione Lazio Carlo De Romanis, accusato da quello stinco di santo del suo capogruppo Franco Fiorito di avere organizzato allo Stadio dei Marmi, con il sistema dei rimborsi abusivi, una megafesta privata di amici felici per il suo ritorno a Roma, come novello Ulisse, da un’esperienza di lavoro a Bruxelles. Megafesta sicuramente pacchiana, con uso di abiti e maschere di ogni tipo, anche di maiale, ma non certo illegale.

La vicenda costò a De Romanis paginate di gogna su tutti i giornali, nazionali e romani, che ora se la sono cavata a buon mercato. Sul Messaggero, per esempio, per trovare l’articolo sul proscioglimento si è dovuto arrivare a pagina 45, grazie ad una segnalazione alla solita una colonna a pagina 39, la prima della Cronaca di Roma. Un fatto quindi locale, rigorosamente locale, promosso però a suo tempo a fatto nazionale, anzi mondiale.

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