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Usa 2016, perché i giochi sono ancora apertissimi

L’estate ha cambiato tutto. Pareva che i giochi fra i democratici fossero già fatti, con Hillary Clinton candidata (quasi) unica alla nomination e, soprattutto, solissima in testa ai sondaggi; mentre i repubblicani, con una pletora di aspiranti – sono stati 17 a un certo punto -, ne cercavano uno davvero credibile per l’opinione pubblica.

Cento giorni e una stagione dopo, i repubblicani, sempre una pletora – 15 -, hanno un battistrada nettamente avanti nei sondaggi (ma non nei pronostici), il magnate dell’immobiliare Donald Trump, mentre i democratici restano con una candidata (quasi) unica, ma molto più debole per gli scandali – quello delle email ufficiali dall’account privato sarebbe oggettivamente risibile, ma ha acquisito peso – e per i rigurgiti d’ostilità che il personaggio suscita (nel 2008, le costarono la nomination).

Sul filo della cronaca, le pallottole assassine di Chris Harper Mercer, il giovane filo-nazista autore della strage di giovedì in un’Università dell’Oregon, possono essere l’arma letale di molte candidature alla nomination repubblicana per Usa 2016: chi si azzarda a dirsi favorevole al controllo sulla vendita delle armi è fuori. Anche per questo, tutti stanno zitti; e Jeb Bush, meno conservatore su questo punto di tanti suoi colleghi, liquida l’eccidio come “una cosa che capita” – negli Usa, di sicuro di frequente – …

Il presidente Barack Obama afferma che il popolo americano dovrebbe trarre le proprie conclusioni dai commenti sulla sparatoria, “basandosi sul fatto che ogni due mesi abbiamo una strage”, e poi decidere se considerarla “una cosa che capita” …

Fra i democratici, Hillary Clinton è messa male: il suo rivale, il senatore indipendente ‘socialista’ Bernie Sanders, su cui nessuno scommetteva un cent quando si candidò ad aprile, le è nettamente davanti nei sondaggi nei due Stati, lo Iowa e il New Hampshire, che per primi assegneranno delegati alla convention. In entrambi quegli Stati, nel 2008 Hillary perse a sorpresa dall’allora senatore al primo mandato Barack Obama, che poi le strappò la nomination.

L’immagine dell’ex segretario di Stato è sempre più appannata dallo scandalo Emailgate, le oltre 60.000 mail – tutta la sua corrispondenza – che dal 2009 al ‘13 inviò e ricevette da un server privato invece che da quello ufficiale). Ma Sanders non è un’alternativa credibile a livello nazionale.

Lo sarebbe il vice-presidente Joe Biden, se scendesse in campo. Ma Biden è sempre più amletico: intervistato da Stephen Colbert, che ha sostituto David Letterman al “The Late Show” sulla Cbs, è parso esitante e l’ha messa sull’emotivo.

Da mesi Biden, che ha provato due volte (1988 e 1998) a conquistare la nomination democratica, sempre senza successo, tentenna: ostenta riluttanza, ma lascia trapelare che il figlio Beau, deceduto per un tumore al cervello a 46 anni il 30 maggio, gli chiese, sul letto di morte, di candidarsi. Obama non si sbilancia sulle scelte del suo vice né lo spinge: “Adoro Biden, ma è una decisione che deve prendere lui”. Certo, il tempo passa e comincia a essercene poco.

I sondaggi restano volatili, dopo due dibattiti televisivi e un’estate in cui Trump è stato l’indiscusso mattatore: battute, gaffes, zuffe verbali, lo showman è sempre stato mediaticamente presente. Viaggia in testa alle preferenze dei potenziali elettori repubblicani, davanti al altri due non politici’: Ben Carson, l’unico nero, un ex neurochirurgo, ultra-conservatore, e Carly Fiorina, l’unica donna, ex ceo della Hp.

I politici, senatori e governatori, in carica ed ex, sono tutti sotto il 10%. L’impressione è che i giochi siano ancora apertissimi, che Trump abbia ormai fatto il pieno dei potenziali consensi e che per Jeb, il più alto in corsa, come per Marco Rubio, il più giovane, o per Mike Huckabee, il più esperto, e via via tutti gli altri non sia ancora detta l’ultima parola. L’autunno, con altri tre dibattiti televisivi, uno al mese, sfronderà il gruppo e chiarirà le posizioni.

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