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Ilva, Poste, Saipem. Che farà la Cassa di Costamagna e Gallia?

La Cdp per finanziare l’edilizia scolastica? L’idea l’ha lanciata Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera. Ha ragione il professore quando lamenta che la presa del potere di Costamagna&Gallia si è tradotta finora in cambiamenti di poltrone senza delineare alcuna strategia. Ha anche ragione quando mette in guardia da un uso strumentale, assistenziale se non clientelare, tipo risolvere le grane che hanno maggiore impatto politico. Ma serve davvero gettare altra carne nel pentolone del bollito?

C’è già chi vuole che la Cassa depositi e prestiti si accolli i debiti di Saipem – o che entri nel capitale della società del gruppo Eni – con il rischio di violare il proprio mandato come del resto accadrebbe se salvasse l’Ilva. Chi propone che finanzi il dopo Expo, per non parlare delle infrastrutture Internet. Tutti la vogliono, tutti la chiamano, anche se la Cdp non è né Figaro né la cornucopia.

Dei 250 miliardi di risparmio postale raccolti, 170 sono depositati presso il Tesoro per finanziare il debito pubblico (soprattutto degli enti locali) in cambio di un interesse più alto rispetto a chi compra una obbligazione dello Stato. Nel 2013 il rendimento medio era stato del 3,4%, ma il calo dei tassi ha via via essiccato la rendita della quale la Cassa gode. Anche le aziende a partecipazione statale che controlla non sono più fonte sicura di utili crescenti.

E’ vero, essendo una “banca non banca”, può avere una leva finanziaria elevata senza cadere sotto la tagliola della Bce che impone alle banche ordinarie di aumentare il capitale. Ma esiste un limite istituzionale oltre che economico al proprio indebitamento.

Non solo, il risparmio postale ha una natura particolare, improntata alla massima sicurezza, non può essere usato per sostenere aziende in rosso, per tappare buchi prodotti da mala gestione, o da errori dei banchieri, dei politici, dei magistrati, dei sindacati. Ma non può essere nemmeno gettato in investimenti rischiosi, come è nella natura della economia moderna (non solo capitalistica). Dunque, la Cdp ha un limite di fondo che deriva dalla natura delle sue risorse.

Per molti versi la Cassa depositi e prestiti assomiglia alle cugine d’oltralpe alle quali viene associata anche dal professor Giavazzi. Tuttavia ci sono anche profonde differenze sia istituzionali sia gestionali.

La KfW tedesca è una tecnostruttura pubblica i cui vertici sono di nomina politica, però si alimenta quasi esclusivamente sul mercato internazionale dei capitali. Dunque può usare le risorse con maggiore libertà pur rispettando il suo mandato che la lega a un sostegno del Mittelstand la media industria che rappresenta la base granitica del modello tedesco.

La francese Cdc attinge, come la Cdp, a un risparmio particolare che ne vincola l’operatività. Le è proibito di intervenire per risanare i conti delle imprese e si orienta verso operazioni strategiche di lungo periodo. Le sue partecipazioni spaziano nei settori più diversi, ma la Caisse non esercita il controllo, diciamo che  si presenta come un guardiano dell’interesse nazionale non una barella dello stato ospedale.

Se la Cdp si volesse ispirare al modello tedesco, allora dovrebbe ridurre la propria dipendenza dal risparmio postale, aumentare il capitale, andare prevalentemente sul mercato aperto. Se invece l’esempio fosse quello francese, allora dovrebbe avere di fronte grandi gruppi industriali e di servizi che in Italia non esistono. In un caso e nell’altro, sarebbe coerente con la sua funzione finanziare la banda larga, non l’Ilva e nemmeno l’edilizia scolastica che spetta direttamente al bilancio statale.

Ma forse sta covando in gran segreto un modello italiano. Magari c’è qualche Beneduce all’opera nelle stanze di palazzo Chigi. Magari qualcuno ha già preparato una chiara e dettagliata spiegazione da inviare ai piccoli risparmiatori, provenienti per lo più dai ceti popolari, che affidano il frutto del loro lavoro alla Cassa (tra l’altro, che succederà a questo risparmio non di mercato dopo la privatizzazione delle Poste?). Magari il trust di cervelli renziani ha concepito “il nuovo stato industriale” versione 2.0. Una cosa è certa, attenti a operazioni avventuristiche, per fare un favore al governo, alle banche o a potentati pubblici e privati.

Stefano Cingolani

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