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La magra giustizia di Grasso

Come magistrato di ritorno, chiamato ora a indagare e giudicare uomini e fatti del Senato che presiede da due anni e mezzo, Pietro Grasso lascia un po’ a desiderare, almeno rispetto alle prestazioni di magistrato alle prese con la mafia nella sua lunga carriera in toga.

Si attendono ancora, se mai arriveranno, le conclusioni delle sue indagini sulle forti pressioni, anche fisiche, esercitate il mese scorso su una dubbiosa senatrice grillina dai suoi compagni di gruppo, nella giunta delle immunità, perché facesse prevalere con il suo voto il fronte favorevole all’arresto dell’alfaniano Giovanni Bilardi, chiesto dai magistrati calabresi per i soliti abusi e sperperi regionali. Grasso ha fatto invece prestissimo a giudicare con il suo Consiglio di Presidenza il comportamento del capogruppo verdiniano Lucio Barani e del collega Vincenzo D’Anna durante una seduta di qualche giorno fa.

Per i tempi e un po’ anche per i modi, sotto la pressione di una campagna mediatica e politica ostile agli “imputati”, quello che si è svolto è stato un processo per direttissima, sia pure mitigato dai soli cinque giorni di sospensione dalle sedute rispetto al massimo di dieci previste dal regolamento. Le ragioni addotte per iscritto da Barani e le stesse riprese televisive sono state cestinate, più che attentamente e serenamente esaminate. Si è visto nelle immagini solo ciò che avevano avvertito le furenti senatrici grilline: un rapporto di sesso orale simulato al loro indirizzo.

Nelle quattro ore di durata del Consiglio quelle immagini non sono state le uniche ad essere esaminate, avendo dovuto i consiglieri della Presidenza vederne molte altre per comminare un giorno di sospensione al grillino Alberto Airola, che aveva aggredito una senatrice del Pd, e una censura al capogruppo pentastellato Gianluca Castaldi e a tutto il gruppo leghista per i soldi sventolati contro i verdiniani, accusati di essersi lasciati comperare da Matteo Renzi. Che ne conserverebbe così i voti alla riforma del Senato già ottenuti quando essi stavano in Forza Italia.

Singolare infine è stato l’annuncio di Grasso che “da questo momento nessuna deroga al principio di correttezza verrà tollerata in aula”. Singolare per due motivi: non si capisce per quale motivo la tolleranza sia stata così a lungo permessa con gazzarre di ogni tipo e se essa potrà continuare fuori dall’aula.

(PIETRO GRASSO VISTO DA UMBERTO PIZZI. TUTTE LE ULTIME USCITE PUBBLICHE DEL PRESIDENTE DEL SENATO PIZZICATO DA PIZZI)

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Nei cinque giorni di sospensione dei due “pornoverdiniani”, come li definiscono al Fatto, Matteo Renzi spera di non avere bisogno anche dei loro voti nel percorso ad ostacoli della riforma del Senato. Le loro assenze tuttavia lo aiuteranno comunque ad abbassare il cosiddetto quorum della maggioranza, che in questo tratto del viaggio della riforma è la metà più uno dei presenti.

Indolore è anche la pena suppletiva inflitta a mezzo stampa a Barani da un indignatissimo Bobo Craxi: la rimozione del garofano rosso dal taschino della giacca, per non disonorare ulteriormente la memoria del padre, che volle quel fiore come simbolo del Partito Socialista, al posto della falce e martello di tradizione comunista.

Dubito, avendolo conosciuto bene, che il papà di Bobo si sarebbe unito al processo praticamente sommario condotto contro Barani, al seguito delle sentenze mediatiche. Si sarebbe limitato a deplorare il livello al quale si è ridotto anche in Parlamento, e non solo sulle piazze, il dibattito politico. E di questo portano le maggiori responsabilità prima i leghisti, nella breve storia della cosiddetta seconda Repubblica, e poi i grillini, nell’ancora più breve storia della terza, se questa è davvero mai cominciata.

(VERDINI E I VERDIANI NELLA BUFERA VISTI DA PIZZI)

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Non solo i militanti, con le loro pesanti incursioni nei confronti telematici, ma anche i parlamentari del movimento delle cinque stelle sono letteralmente ossessionati dal sesso quando inveiscono contro gli avversari, maschi o femmine che siano.

Clamorosamente indecente fu nei mesi scorsi il loro assalto alle deputate del Pd che reclamavano il diritto di partecipare ai lavori di una commissione che i grillini avevano deciso di impedire o boicottare per protesta contro la maggioranza.

Colpevoli di essere anche giovani e avvenenti, le poverette furono insultate con l’accusa, non mimata ma gridata a squarcia gola, di essersi guadagnato Montecitorio facendo sesso orale con chi ce le aveva mandate mettendole al posto giusto nelle liste rigorosamente bloccate: le stesse peraltro allestite dal movimento di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio per le loro candidate.

Seguirono da parte delle insultate, naturalmente, proteste e denunce anche giudiziarie, servite alla presidente della Camera per mettersi pazientemente in attesa delle loro conclusioni: lei, di solito così rapida e severa con le parole e le misure.

(BEPPE GRILLO INCORONA LUIGI DI MAIO? TUTTE LE FOTO DI PIZZI)

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