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La Russia sta preparando un’offensiva di terra in Siria

Sabato il New York Times, riportando una fonte tra l’Intelligence americana, anticipava che i militari russi presenti in Siria avevano eretto un campo base nelle aree controllate dal regime nella zona di Hama. Oggi la notizia è nuovamente confermata.

Secondo quanto riferito da un alto ufficiale della Difesa americana a NBC News, l’esercito russo ha mosso pezzi di artiglieria nella zona di Hama (il luogo esatto ancora non è stato definito, si dice tra Idlib e Homs), ha spostato quattro sistemi BM-30 (lanciarazzi multipli) e ha posizionato equipaggiamento da campo per il sostegno delle forze di fanteria. Circostanza che fa pensare anche all’arrivo di rinforzi: la Russia sta anche proteggendo le sue attività attraverso la copertura dei sistemi di guerra elettronica delle postazioni mobili Krasuha-4, e pare che a largo di Latakia per partecipare allo “scudo” creato da Mosca è arrivata anche la nave per intelligence “V. Tatischev”.

La città di Hama è stata una delle prime ad essere interessate dai bombardamenti della missione russa a sostegno del governo siriano del dittatore Bashar el Assad, ed è infatti molto importante per la stabilità del rais. Nell’area non c’è lo Stato islamico, ma gruppi di ribelli tra cui il Jaysh al Fatah (l’Esercito della Conquista), che è una coalizione nata nel 2015 e composta da svariati gruppi islamisti, di cui i maggiori contribuenti sono Ahrar al Sham e Jabhat al Nusra. Mentre al Nusra è l’affiliazione siriana di al Qaeda, Ahrar al Sham è un gruppo relativamente meno estremista e senza obiettivi di carattere internazionale (come dice il nome, Gli uomini liberi della Siria). JaF, anche se è comunque considerato un gruppo jihadista, sta ricevendo il sostegno, non solo morale, di Qatar e Turchia: pure grazie a questo è riuscito nell’impresa di conquistare la provincia di Idlib, al nord. Sono proprie quelle aeree la retrovia da cui sta progettando l’offensiva verso sud e la costa. La presenza di questo grosso raggruppamento combattente, come si vede dalla mappa dell’Insitute for the Study of War, mette ovviamente in serio pericolo la stabilità della regione di Latakia, dove i siriani lealisti si sono da tempo rifugiati essendo la patria ancestrale, protettissima, della minoranza di potere alawita.

Della possibilità di un’azione di terra abbinata ai raid aerei in queste zone della Siria, s’era sentito parlare da un po’. Secondo diversi analisti, il piano sarebbe supportato dall’arrivo di un nuovo contingente di soldati iraniani e dall’invio di altri rinforzi da parte di Hezbollah ─ i libanesi sono sfiancati dalla guerra, hanno perso molti uomini, e ormai tengono il punto soltanto perché rincuorati dall’intervento russo e sollecitati dall’Iran, con la promessa che prima o poi si rifarà la guerra a Israele, che è l’unico obiettivo strategico di Hez.

Rinforzi

Vladimir Komoyedov, il capo del comitato di difesa del parlamento russo, ha detto lunedì che gruppi di volontari russi potrebbero partecipare alle operazioni in Siria. I “volontari” sono stati (e sono ancora) uno dei proxy con cui la Russia ha supportato in modo clandestino i separatisti dell’est ucraino: “sono volontari, non possiamo fermarli” era la posizione del Cremlino, tuttavia ci sono sempre stati molti dubbi sul fatto che si trattasse realmente di volontari, ma piuttosto soldati inviati in modo non ufficiale dalla Russia. Questi uomini, secondo Komoyedov, adesso sarebbero propensi ad andare a rinfoltire le truppe dell’esercito siriano. Anche nel caso siriano, la posizione ufficiale di Mosca è ferma: non stiamo pensando all’uso di forze di terra, quelli che potrebbero arrivare in aiuto ad Assad sono volontari e mercenari spinti dalle idee e dai soldi offerti loro (attenzione che qui c’è implicita anche la smentita alle notizie trapelate sullo schieramento ad Hama, ma d’altronde Mosca fino al 18 settembre ha negato il proprio coinvolgimento nel conflitto siriano).

Contemporaneamente, sul fronte dell’altra Coalizione internazionale che sta combattendo in Siria, quella a guida americana (l’altra, quella russa, è composta da Mosca, Teheran, Baghdad e Damasco, più Hezbollah), il presidente Barack Obama ha fatto approvare in una riunione del consiglio di Sicurezza Nazionale di giovedì un piano per aiutare i curdi siriani dell’YPG. L’opzione era già stata ventilata tempo fa in almeno due occasioni sia da Martin Dempsey (capo dello Stato maggiore congiunto), sia da Lloyd Austin (il capo di CentCom il comando operativo che segue la missione in Siria), esasperati dalla debacle del piano di addestrare i ribelli ─ a proposito: il Wall Street Journal scrive che gli USA hanno analizzato i primi raid russi in Siria e hanno concluso che la scelta di colpire i ribelli US-backed è stata una scelta deliberata di Mosca e non un errore.

Ma dare apertamente supporto all’YPG potrebbe creare controversie con la Turchia, in quanto i curdi siriani sono alleati del Pkk e nemici di Ankara, dunque si cercano vie secondarie sfruttando un gruppo di ribelli “fidati” che combatte al nord.

L’idea sarebbe infatti di programmare un attacco a Raqqa scendendo dalle aree settentrionali verso la capitale siriana dello Stato islamico, dando supporto dall’alto indirettamente agli stivali curdi e direttamente a un gruppo di 3/5 mila ribelli “amici” dei Paesi arabi (e dell’America, perché vengono dal Free Syrian Army). Un progetto ambizioso e rischioso per tante ragioni. Una, per esempio: l’abbinamento raid aerei americani e azioni di terra curde ha già funzionato su Kobane, ma la città era svuotata degli abitanti; la stessa situazione non si trova a Raqqa, dove c’è il rischio di molte vittime civili.

@danemblog

(Foto: ISW)

 

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