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Vi racconto la vita (e la morte) ad Aleppo. Parla il prete siriano Lutfi

Sono stati mutilati e crocifissi perché non volevano convertirsi all’Islam. Erano cattolici. E in Siria, da quando è cominciato il conflitto armato, questo può significare una condanna a morte. Un bambino di 12 anni e suo padre, leader siriano della chiesa cristiana, sono stati uccisi dallo Stato islamico. La notizia è stata confermata dall’ong Christian Aid Mission.

I pochi fedeli che sono rimasti in Siria continuano a resistere. Credono che la guerra, prima o poi, finirà. Molti sono ancora lì per convinzione, altri perché non possono andare via. A raccontare le storie di resistenza cristiana in territorio siriano è padre Firas Lutfi. Quarant’anni appena compiuti, Lutfi è laureato in Teologia biblica all’Università Gregoriana. Dal 2011 vive a Roma, ma nelle pause di studio è sempre tornato a casa, dove ha sostenuto il lavoro dei francescani.

DISOCCUPAZIONE E INSICUREZZA

Parliamo prima della S. Messa nei giardini di Villa Massimo, sede della Custodia di Terra Santa a Roma. La serenità della sua voce e l’amabilità del suo sorriso contrastano con le storie di fame, terrore e paura che racconta. Lutfi spiega che dei tre milioni e mezzo di abitanti di Aleppo, città da sempre considerata il motore economico della Siria, sono rimaste 200mila persone. Quasi tutti bambini e anziani, impossibilitati di fuggire. I giovani sono andati via per non essere costretti a fare il servizio militare: “Quello che preoccupa di più è la mancanza di lavoro e le difficoltà per procurare da vivere. Un padre di famiglia cerca di proteggere i suoi figli dai razzi spostandosi da abitazioni. Nessun posto è 100% sicuro, ma ci sono luoghi un po’ meno rischiosi. È difficile però spostarsi, affittare, traslocare. Sono aumentate le esigenze e diminuiti i guadagni”. Secondo il prete, solo chi lavora nel settore pubblico ha lo stipendio garantito. “Le persone che avevano attività indipendenti – spiega Lutfi i piccoli imprenditori, sono rimaste con niente”.

PORTE CHIUSE

Andare via non è facile. Ricorda Lutfi che le ambasciate occidentali sono chiuse dall’inizio del conflitto, per cui chi vuole emigrare non ha modo di farlo legalmente. Si poteva partire attraverso la Turchia, il Libano e la Giordania, ma ora la fuga avviene tramite il Mare Mediterraneo, che drammaticamente oggi viene chiamato “mare di morte”. Tutte le porte sono chiuse. Così non resta che immigrare clandestinamente.

INFLAZIONE DI GUERRA

Cosa bere, cosa mangiare e come proteggersi sono diventate le principali preoccupazioni di chi vive ancora ad Aleppo, una città devastata dalla guerra. Boulos, medico cristiano aleppino, ricorda di aver trascorso mesi con una sola ossessione: trovare acqua e pace. “Cosa a volte impossibile e sempre costosa – racconta alla pubblicazione Eco di Terra Santa -. Prima della guerra il pane costava due lire siriane. Ora è arrivato a 50”.

LA TORTURA DELL’ACQUA

Come ha raccontato a Formiche.net monsignore Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo dei latini, la maggior difficoltà che devono affrontare i siriani è la mancanza di acqua. Lutfi sostiene che le fonti idriche sono in mano ai jihadisti e più volte sono saltate per aria, lasciando assettati due milioni di abitanti per più di 15 giorni: “La soluzione che abbiamo trovato è distribuire l’acqua che c’è nei pozzi delle moschee e chiese con cisterne. Il governo ci ha aiutato a scavare per trovarne altri. Attualmente ci sono anche camioncini con serbatoi in giro per la città. Ma fornire anziani e malati che vivono al sesto o settimo piano, senza ascensore perché manca l’elettricità, non è facile. In Siria tutti soffrono di mal di schiena”.

IL RUOLO DELLA TURCHIA

I bombardamenti sono occasionali ma intensi. Non smettono finché il quartiere attaccato è raso al suolo. E a chi vogliono i siriani? È diventato Bashar al-Assad un nuovo messia, dopo essere stato considerato la causa di tutti i mali? “Il popolo siriano è molto diviso – precisa Lutfi -. Una parte è con il governo, non con la persona di Assad ma con le istituzioni. Hanno visto l’intervento della Nato prima con sospetto e dopo con diffidenza, visto l’allargamento dello Stato Islamico che ha provocato”. In particolar modo non è stato accettato il ruolo della Turchia: “I terroristi non sono cascati dal cielo, sono entrati in Siria da qualche parte e qualcuno li ha armati e addestrati”. Un’altra parte, quella degli oppositori al regime, guarda gli interventi esterni da parte dei Russi o cinesi come una invasione. Certamente il bombardamento aereo non basta: occorre una collaborazione terrestre. Chiedono però combattimenti non soltanto dall’aria, ma anche con l’esercito via terra. Sia russo o cinese.

FONTI DELLA RICCHEZZA

“C’è un modo di sconfiggere il terrorismo e la Chiesa ne ha parlato. Se Isis è l’organizzazione terroristica più ricca al mondo è perché guadagna con i soldi del petrolio siriano, la vendita del patrimonio archeologico e culturale e con i riscatti delle persone sequestrate. Chi compra, chi traffica e chi paga è complice del sangue siriano”, dice Lutfi. “Asciugando le fonti di ricchezza, questi mercenari smetteranno di militare in Isis – conclude -. Molti lo fanno per ideologia religiosa, ma la maggior parte lo fa per soldi”.

EVOLUZIONE VS. RIVOLUZIONE

Lutfi crede che la Siria aveva bisogno di “evoluzione” più che di “rivoluzione”. “Perché l’evoluzione rispetta il tempo e la cultura. La democrazia non può essere uguale in Europa, America latina, Africa e Oriente. Siamo diversi e l’esperienza d’interventi in Afghanistan e Irak dimostrano che i cambiamenti forzati portano caos e insicurezza”.

RESISTENZA CRISTIANA

Prima del conflitto, i cristiani contavano due milioni quasi 8% della popolazione. Oggi è rimasto soltanto meno della metà. La comunità cristiana si è attivata per fornire medicine, alimenti, assistenza legale e sanitaria, sostegno scolastico per i bambini. Padre Lutfi andrà presto in Siria ad assistere una cinquantina di anziani rimasti bloccati ad Aleppo. Ma gli aiuti sono anche per chi non è cristiano. Padre Elias sostiene che i francescani lasceranno Aleppo “quando se ne andrà l’ultimo musulmano… La presenza di questi fratelli musulmani è una grazia, perché Cristo ci insegna ad accettare l’altro. E se non siamo capaci di farlo nella nostra quotidianità, che cristiani siamo?”. Ad Aleppo, una madre cristiana è stata accompagnata da molte donne musulmane durante la messa del funerale dei due figli. La solidarietà tra cristiani e musulmani in Siria è profonda e quotidiana, non affatto compromessa. “Lo scenario è buio – ha detto Lutfi. Non sappiamo a che punto siamo, se all’inizio, a metà o alla fine del tunnel. La soluzione militare non assicura niente. Nonostante ciò, noi restiamo in Siria per dare speranza e gioia a chi è rimasto. L’alimento spirituale è importante quanto l’acqua e il pane”.

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