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L’IS avanza ad Aleppo: che dice Mosca?

Quello che esce dal campo di battaglia non mente ─ i fatti, come sempre. Lo Stato Islamico ha conquistato 6 villaggi nell’area nord-orientale di Aleppo, la seconda città siriana, un punto in cui l’offensiva dell’IS era in stallo da un po’. Invece l’avanzata di queste ultime ore è stata definita dal New York Times «significativa» ed è arrivata a danno degli altri ribelli, che prima controllavano quelle zone. Quel “prima” ha una precisa connotazione temporale: prima che le operazioni russe (e del governo siriano, diretto da Mosca) non iniziassero a martellare pesantemente quei ribelli, senza toccare l’IS.

D’altronde chi è costretto a difendersi, difficilmente ha possibilità di pianificare un attacco. E infatti. Per il Califfo dev’essere stato un sollievo vedersi passare sopra alla testa i missili da crociera lanciati dalle batterie del Mar Caspio e diretti più a ovest a colpire i suoi nemici (nota: non il governo ovviamente, che è un nemico dell’IS, ma gli altri ribelli, che sono altri nemici). E così Baghdadi ha trovato il modo di far partire un’offensiva sulla seconda città siriana ─ i territori nevralgici dello Stato Islamico in Siria, come l’area di Raqqa (la capitale), non sono mai stati attaccati dai russi, mentre le warship del Caspio e gli airstrike da Latakia hanno colpito con insistenza più a ovest, dove ci sono altri gruppi ribelli con un variegato grado di islamismo, che va dall’improponibile qaedismo di al Nusra fino a situazioni moderate, passando per realtà in cui la radicalità non è poi troppo diversa da quella dello stato che dirige il panel sui diritti umani all’Onu (l’Arabia Saudita, alleato occidentale).

E dunque la Russia in Siria più che svoltare le sorti della guerra, sta sposando in pieno la strategia di lungo corso portata avanti da Bashar el Assad. Concentrarsi sui gruppi ribelli che non sono Stato Islamico (ad Hama come ad Aleppo), perché tra questi potrebbe esserci chi in un futuro più o meno prossimo potrebbe sostituirsi al ruolo di presidente occupato dal rais siriano. L’idea è che per fare la guerra ai baghdadisti ci sarà tempo: e quel tempo permetterà di affinare anche qualche passaggio diplomatico, attraverso cui la Russia e la Siria si attesteranno come affidabili, credibili, indispensabili, partner contro l’estremismo dilagante dell’IS ─ vincerà il realismo, e pure l’equilibrismo, perché per gli occidentali decidere di allearsi con Mosca, e dunque Damasco, significa mettersi in destabilizzante contrapposizione con sauditi e turchi. Questa è evidente che è una strategia politica e non un piano militare.

La storia spesso devia il proprio flusso: Bashar Assad, per esempio, ha ereditato il potere golpista del padre Hafez senza essere lui il prescelto nella linea di successione. Fu richiamato in Siria dal Western Eye Hospital di Londra, dove esercitava la professione di oftalmologo, dopo che il fratello Bassel, “quello bravo”, morì in un incidente stradale. In questo momento, però, quel flusso sembra procedere dritto spedito: la Russia, come si diceva, sostiene in pieno la direzione inerziale presa dalla guerra civile siriana, proteggendo Assad. Unica scusante, è che forse lo fa per garantirsi del tempo per trovare un “cambiamento controllabile” ─ ma anche qui, siamo lontani dal supereroe antiterrorismo. La scusa della lotta al terrorismo è più che altro un proxy globale ben indirizzabile con un’adeguata disinformatia: ma che diranno adesso Mosca e Damasco, del fatto che lo Stato Islamico sta avanzando, attraverso un fronte in cui era stato bloccato dagli altri ribelli, nonostante l’intervento militare russo? E Teheran ─ che in questi giorni ha visto morire a sud di Aleppo il generale che comandava l’intero contingente, milizie comprese, inviato in Siria dall’Iran e s’è visto cadere per problemi tecnici (secondo le dichiarazioni di funzionari americani) sul proprio territorio alcuni cruise russi diretti in Siria ─ che vede la guerra anche dal punto di vista ideologico settario, che starà pensando?

@danemblog

(Foto: Twitter)

 

 

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