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Come si muove Isis in Turchia

Erdogan

Il governo turco avanza l’ipotesi che gli autori dell’attentato alla manifestazione di Ankara siano stati uomini dell’IS e diffonde attraverso i media di Stato (gli unici lasciati liberi di parlare dell’attentato) la notizia su decine di arresti tra i militanti islamici, ma nel frattempo provvede ad ordinare raid aerei contro le postazioni del Pkk. Il partito/milizia curdo, dopo i fatti di sabato, aveva dichiarato una tregua unilaterale degli scontri, ma è stata respinta dall’esecutivo che ha anzi lanciato una fitta serie di bombardamenti che hanno colpito l’area di Dyarbikir, vicino al confine siriano, e il nord dell’Iraq (a volte l’aviazione turca centra bersagli del Pkk anche oltre confine).

LA REAZIONE DI ERDOGAN

Questo è un segnale chiaro sulla gerarchizzazioni delle priorità per il presidente Recep Tayyp Erdogan: i curdi sono colpiti da un attentato che ha fatto un centinaio di vittime di cui il suo governo ritiene responsabile lo Stato islamico, ma lui non decide di colpire le postazioni dei jihadisti (eppure ce ne sarebbero molte, appena oltre il confine siriano e iracheno e pure in patria), ma quelle del Pkk curdo.

IL RAMO TURCO DI ISIS

Il giornale turco Haberturk, citando fonti della polizia, ha detto che dagli indizi finora ottenuti e dall’analisi delle tecniche, l’attentato è del tutto simile a quello che in luglio aveva colpito la cittadina di Suruc, vicino al confine con la Siria, dove una riunione in un centro sociale che stava organizzando aiuti per Kobane è stata colpita da una attentatore suicida. In quel caso i sospetti ricaddero sulla cellula pro-IS turca “Quelli di Adiyaman”, che prende il nome dalla città del centro sud, anche se lo Stato islamico non aveva ufficialmente rivendicato l’attacco. Chi ha scelto Suruc come chi ha scelto la manifestazione di sabato per colpire, vuole attizzare polarizzazione e violenza in Turchia: in quest’ottica anche l’assenza del rivendico fa parte di una strategia, perché il mistero aumento il caos.

L’ACCUSA DI ISIS VERSO LA TURCHIA

Nel numero della rivista dell’IS Dabiq uscito dopo la decisione della Turchia di entrare in azione a fianco della Coalizione internazionale “anti-IS” a guida occidentale, c’era una condanna di apostasia contro il governo turco e in un video si invitavano i fedeli a «conquistare Istanbul». Un’aperta dichiarazione di guerra, alla quale il premier Ahmet Davutoglu però ha risposto definendo l’IS nemico alla stregua del Pkk curdo e del Dhkp-c, un gruppo combattente di estrema sinistra (che ha rivendicato un attentato all’ambasciata americana di Ankara nel 2013). Inutile dire che queste dichiarazioni hanno infiammato chi sostiene che tra governo e IS ci siano delle ineluttabili collusioni nate dalla pragmatica condivisione di un nemico, Bashar el Assad. La Turchia per decapitare il regime siriano, avrebbe lasciato correre sui traffici di materiali e persone attraverso il proprio confine, traffici che andavano a rinforzare il jihad siriano. E poi del nemico curdo.

IL PERCHE’ DEL NOME

Seyh Abdurrahman Alagöz è l’autore dell’attentato suicida di Suruc, secondo le ricostruzioni della polizia turca. Gli investigatori ritengo che sia lui che il fratello sono affiliati allo Stato islamico. Come Seyh, anche il fratello maggiore Yumus Emre era andato a studiare all’estero: ora il primo s’è fatto esplodere, mentre Yumus è introvabile e ha lasciato la sua sala da tè di Adiyaman. È su una lista dei ricercati dall’intelligence. Anche Orhan Gondar, il sospettato per l’attentato che ha colpito il comizio dell’Hdp (il partito curdo moderato) a Dyarbakir in giugno, viene da Adiyaman. una città che è diventata uno dei centri di reclutamento e proliferazione delle istanze del Califfato in Turchia.

LA DIATRIBA

Secondo quanto detto dallo scritto e storico Sahidin Simsek ad Al Monitor, le radici del problema sono nella manipolazione dell’identità curda sunnita voluto dalla retorica dell’AKP, il partito di destra del presidente Erdogan, che nella zona è maggioritario e fortemente incline alle tematiche nazionaliste; anche se alle elezioni di giugno l’Hdp ha ottenuto per la prima volta un rappresentate locale in Parlamento. Lo Stato ha utilizzato in un’opera dissuasiva “anti-kurdistan” centri di pensiero appartenenti al mondo religioso, ed ha fatto sì che la popolazione locale sviluppasse un forte odio verso il “curdismo” (termine non raffinato con cui si intende raggruppare le classiche posizioni curde) e si facesse bandiera dell’islamismo politico del governo. Il contesto sociale cittadino ha fatto il resto: lavoratori umili, alte soglie di povertà, sono bacini di attecchimento preferenziale delle retoriche di massa. Ma la tolleranza mostrata dallo Stato nei confronti della predicazione religiosa islamista, ha avuto il suo lato negativo: il passa verso le istanze del Califfato è stato breve.

I NUMERI

Il responsabile del ramo locale della Human Right Association turca, Osman Suzen, ha dichiarato che ad Adiyaman ci sono almeno 300 persone che stanno con l’IS e sono pronte ad operare in territorio turco. E pensare che l’obiettivo principale di eventuali attacchi saranno i curdi, è conseguenza logica. Circostanza analoga si ritrova in un’altra città turca, Bingol, qualche centinaio di chilometri a nord est di Adiyaman. I dati dicono che almeno 600 giovani di Bingol si sono uniti ai combattenti del Califfo in Siria: una delle principali zone di reclutamento di tutto il paese. È di Bingol il predicatore dello Stato islamico Halis Bayancuk, conosciuto con il nome di Abu Hanzala (figlio del leader del gruppo terroristico sunnita locale Hezbollah Haci Bayancuk, succeduto al padre condannato all’ergastolo). Arrestato quattro volte, Hanzala fu rilasciato dalle autorità turche senza apparente motivo mentre infuocava la battaglia di Kobane. Il rilascio si era portato dietro una serie di polemiche, perché mentre l’esercito turco osservava dall’altro lato del confine i curdi siriani presi a cannonate dalle forze del Califfato, non solo non interveniva, ma decideva di rilasciare uno dei capi dell’IS locale, uomo a cui si lega molto del proselitismo califfale in Turchia.

LA STRATEGIA DI ERDOGAN

Una linea politica confermata: Erdogan, senza troppe paturnie morali, lascia spazio a chiunque combatte i curdi, che sono in cima alla lista dei suoi nemici, adesso anche perché l’ampio successo elettorale alle ultime elezioni, blocca le sue mire di modifiche costituzionali verso un forte presidenzialismo. Posizionare l’identità religiosa sopra a quella etnica ha creato una confusione in queste città del kurdistan turco. In Turchia le politiche di assimilazione dello Stato hanno fatto sì che per i curdi definirsi “anche” musulmani rappresenti un ostacolo esistenziale, a causa di dinamiche storiche: quindi, quando la retorica legata all’aspetto religioso passa sopra quello d’identità, i “curdi islamisti” si pongono come nemici del Kurdistan. Questo processo in aree come quella di Adiyaman e Bingol è stato spinto dal governo conservatore, che ha abbozzato (anche in ottica anti-Assad) sulle sue derive islamiste. A Kobane la campagna militare dello Stato islamico era comandata da un uomo noto con il kunya (nome de guerre) di Abu Kattab al Kurdi: un uomo che aveva messo la religione davanti all’identità etnica, cioè l’Islam prima dell’essere curdo, che quindi combatteva i curdi siriani fratelli di quelli turchi.

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