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De Gasperi e Togliatti, come si divide la sinistra al Verano

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In questo agosto ormai declinante la politica interna italiana è stata liquidata, forse non a torto, come un “chiacchiericcio” dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. Che pure vi ha partecipato a suo modo lanciando sfide a destra e a sinistra, smentendo i suoi ministri e sottosegretari avventuratisi su temi troppo scivolosi come le pensioni e buttandosi addosso secchiate d’acqua gelata, peraltro in un’estate non proprio bollente. Politicamente più caldo potrebbe invece rivelarsi l’autunno, come ha minacciato la segretaria della Cgil Susanna Camusso brandendo il solito ricorso allo sciopero contro il governo e ottenendo in cambio un’alzatina di spalle dall’inquilino di Palazzo Chigi.

Renzi deve avere ritenuto un innocuo chiacchiericcio agostano anche le polemiche suscitate nel Pd dalla bizzarra proposta di Beppe Fioroni, post-democristiano come lui, di dedicare ad Alcide De Gasperi, nel sessantesimo anniversario della morte, la tradizionale festa dell’Unità. Che quest’anno, in verità, potrebbe essere chiamata festa all’Unità, vista la scomparsa dalle edicole del giornale storico del Pci fondato da Antonio Gramsci.

Il presidente del Consiglio, che del Pd continua ad essere anche il segretario, non si è solo guardato bene –e giustamente- dal condividere la proposta di Fioroni, simile per arbitrarietà a quella copia dell’Unità scolpita in tasca al povero Aldo Moro nel monumento erettogli addirittura dalla sua Dc nella nativa Maglie, dopo la morte orrenda procuratagli dalle brigate rosse e relativo “album di famiglia”. Così lo chiamò la comunistissima Rossana Rossanda per ammettere le origini politiche di quei terroristi.

Renzi si è anche risparmiato il compito di fare una capatina al Verano, davanti alla Basilica di San Lorenzo, per rendere omaggio alla tomba di De Gasperi, lasciando che a farlo fossero solo una senatrice del Pd figlia dell’ex segretario democristiano Flaminio Piccoli e l’ultimo  segretario del Partito Popolare-ex Dc, Pierluigi  Castagnetti. E’ stato un po’ pochino, francamente, per la ricorrenza e per la figura da onorare, trattandosi peraltro di un predecessore di Renzi alla guida del governo, addirittura protagonista della ricostruzione italiana dopo la seconda guerra mondiale e delle maggiori scelte internazionali del Paese: dall’adesione all’Alleanza Atlantica all’avvio del processo dell’unificazione europea, purtroppo ancora incompiuto, nonostante l’adozione, non a caso pasticciata e parziale, della moneta unica.

Di più alto livello per il Pd è stata invece, in quegli stessi giorni, a poche centinaia di metri, sempre al Verano, la partecipazione al ricordo di Palmiro Togliatti, l’antagonista storico di De Gasperi. Del quale è ricorso quest’anno il cinquantesimo anniversario della morte. E di cui è rimasto celebre il proposito annunciato nella piazza romana di San Giovanni, alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile 1948, di “cacciare a calci nel sedere” l’allora presidente del Consiglio. Un proposito fortunatamente bocciato dagli elettori, che concessero al leader democristiano la maggioranza assoluta.

Per onorare la memoria di un così poco preveggente protagonista della storia del Pci Renzi ha mandato, o lasciato andare al Verano, fra gli altri, il suo ministro della Giustizia Andrea Orlando, che deve essersi sentito degno successore di Togliatti, guardasigilli proprio di De Gasperi, prima che nel 1947 intervenisse la storica rottura fra democristiani e comunisti sui destini del Paese.

Di Togliatti, fra le chiacchiere agostane, è stato esaltato nel Pd, in particolare ad opera del senatore Ugo Sposetti, il merito di avere evitato “la guerra civile”, o la sua prosecuzione, dopo la conclusione della seconda guerra mondiale e la sconfitta del nazifascismo. Ma se Sposetti si riferiva all’amnistia firmata dall’allora guardasigilli, gli andrebbe ricordato che essa nacque non tanto dalla lodevole voglia di chiudere la partita con gli sconfitti, quanto dall’interesse assai meno lodevole del Pci di sanare sul piano giudiziario quegli abusi della Resistenza, specialmente nel cosiddetto triangolo rosso dell’Emilia-Romagna, lungamente negati o nascosti dai comunisti. I quali, anziani o giovani che siano, non perdonano a Giampaolo Pansa di avere poi sollevato con i suoi libri il velo impietoso sui delitti e sulle stragi compiute dai partigiani rossi anche dopo la fine formale della guerra, in nome dell’antifascismo. Finirono ammazzati concorrenti o potenziali avversari politici del tutto estranei al fascismo.

Se poi Sposetti ha voluto riferirsi al fatto che Togliatti, dopo l’attentato subìto nell’estate del 1948 davanti a Montecitorio ad opera di un povero esaltato prontamente arrestato, invitò i militanti del Pci a “non perdere la testa”, come avevano cominciato invece a fare nelle piazze d’Italia immaginando e denunciando chissà quale complotto contro il leader dell’opposizione comunista, bisognerebbe ricordargli il contesto storico nel quale maturò l’appello a starsene buoni.

Più che prudenza, quella di Togliatti fu aderenza alle direttive dell’Unione Sovietica, dove Stalin vigilava sul rispetto della spartizione politica concordata a Yalta fra i vincitori della seconda guerra mondiale. Che avevano lasciato l’Italia nel campo occidentale, per cui non c’era spazio per i sogni rivoluzionari di una certa militanza comunista, destinata non a caso dopo qualche decennio al già ricordato “album di famiglia” del terrorismo rosso.

Francesco Damato

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