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Ecco perché l’Italia è con un piede fuori dall’euro. Parla Realfonzo

I dati Istat sull’occupazione e la relazione del governatore di Bankitalia Ignazio Visco fotografano un’Italia in forte difficoltà. E alla gravità della situazione economica si aggiunge la difficoltà a reperire le risorse utili a innescare una spirale virtuosa d’investimenti.

Una situazione frutto anche degli stringenti vincoli fiscali concordati con Bruxelles, che se da un lato spingono l’Italia a tenere sotto controllo i conti pubblici, dall’altro non permettono grandi spazi di manovra. Un momento, quello che vive l’area euro, che sta generando anche in Italia un vivace confronto che ha dato vita ad un appello dell’economista Paolo Savona, sottoscritto da economisti, intellettuali e giornalisti che chiedono la redazione di un nuovo Trattato europeo.

Il Paese ad ogni modo ha fatto i compiti a casa e, con soddisfazione del premier Enrico Letta e del ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, è uscita dalla procedura europea per disavanzo eccessivo, rientrando entro il limite del rapporto deficit/Pil fissato al 3%.

Un risultato positivo, ma certo non sufficiente per Riccardo Realfonzo, professore ordinario di Fondamenti di Economia Politica all’Università degli Studi del Sannio, con alle spalle diverse esperienze amministrative; l’ultima, come assessore al bilancio della Giunta de Magistris a Napoli, chiusasi dopo un anno con l’accusa di Realfonzo al sindaco di praticare una gestione populistica e inefficiente, parole che hanno generato un ampio dibattito e gli sono valse il consenso dello scrittore Roberto Saviano. Il professore in una conversazione con Formiche.net spiega perché serve un cambio di passo della politica economica, altrimenti l’Italia rischia la marginalità e forse la fuoriuscita dall’euro.

STOP A POLITICHE RECESSIVE
Per l’economista napoletano, il risultato conseguito con l’esclusione dell’Italia dalla procedura europea di deficit eccessivo “non deve far pensare che le politiche recessive di austerità degli ultimi anni debbano continuare, perché – sottolinea – hanno fatto danni enormi. Anche due falchi dell’austerity come gli editorialisti del Corriere della Sera Alesina e Giavazzi hanno scritto su quelle stesse colonne che i vincoli europei non devono essere irremovibili. Oltre al Pil già perso (le previsioni dell’Ocse dopo il risultato drammatico del 2012, danno il Pil in caduta libera anche nel 2013, con un -1,8%), hanno prodotto una disoccupazione crescente che sempre l’Ocse prevede ancora in aumento nel 2013 e nel 2014. Le politiche di austerità – incalza Realfonzo – sono oggettivamente dannose. Temo che il rilancio dell’economia italiana e di altri paesi d’Europa non sia compatibile con l’idea di continuare a stare dentro il valore del 3% nel rapporto deficit/Pil, come concordato con Bruxelles. D’altronde lo stesso ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, in un’intervista al Sole 24 Ore, ammette che rispettando questi parametri nel 2013 non ci sono più margini per politiche espansive ed anche l’anno prossimo questi margini saranno irrisori. Infatti, lo spazio d’azione consisterà nella differenza tra il rapporto deficit Pil a manovre invariate e il valore limite del 3%. Ciò significa circa mezzo punto di Pil. Briciole. E invece servirebbe una cura choc per il Paese”.

Il premier italiano Enrico Letta e il presidente della Commissione europea José Manuel Durão Barroso

UN NUOVO VENTO IN EUROPA
Secondo Realfonzo, “il governo dovrebbe provare a cavalcare il nuovo vento anti-austerità che si respira in Europa. C’è una diffusa consapevolezza, non più confinata solo al mondo scientifico, che le politiche di austerità sono inefficaci ed alimentano la crisi. Il governo dovrebbe soprattutto provare ad ottenere il sostegno della Francia, anch’essa sostanzialmente in recessione. Bisognerebbe convincere Bruxelles a uscire fuori dal dogmatismo del consolidamento fiscale, ed è anche indispensabile che la BCE adotti politiche monetarie accomodanti, al fine di promuovere le politiche espansive anticrisi. Una strada impervia, ma è l’unica via per uscire dall’impasse in cui siamo”. Come fare senza l’assenso della Germania? “Anche i tedeschi iniziano ad avvertire i primi effetti delle politiche di austerità. E infatti le esportazioni verso il resto della Unione Europea si riducono. D’altronde – rileva l’economista – anche la Commissione europea ha chiesto alla Germania di alzare i salari, così da rilanciare la domanda interna e quindi sostenere le esportazioni degli altri Paesi europei, Italia inclusa. La verità è che, nel quadro delle politiche di austerità dominanti sino ad oggi in Europa, la politica neomercantilista tedesca sta creando ulteriori seri squilibri. La Germania, infatti, riesce a crescere perché sfrutta il fatto che il valore dell’euro è tenuto relativamente basso dalle difficoltà dei Paesi periferici d’Europa”.

LA RICETTA KEYNESIANA
La cura che il professore napoletano propone da sempre – sin da quando propose l’appello per stabilizzare il rapporto debito/Pil nel 2006 e successivamente con la “Lettera degli economisti contro le politiche di austerità” del 2010 – si basa su principi keynesiani, che puntano a stimolare l’economia attraverso politiche fiscali espansive. “Credo sia il momento di azzerare l’avanzo primario, ovvero la differenza tra entrate fiscali e spesa pubblica al netto degli interessi sul debito pubblico. Nel 2012 l’avanzo è stato del 2,5% del Pil e secondo le previsioni del governo resterà invariato nel 2013. Se noi lo azzerassimo porteremmo il deficit intorno al 5,5 %, liberando 35-40 miliardi per le politiche espansive. Ossigeno puro per far respirare e ripartire il nostro Paese, cominciando dal taglio del cuneo tra costo del lavoro e salari netti in busta paga e dalle politiche industriali che servirebbero a spingere le imprese verso un salto tecnologico e dimensionale”.

Bruxelles, 25 paesi formano il nuovo patto di bilancio (fonte video: Euronews)

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