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Berlusconi anti Merkel, ecco le carte che l’Italia può giocare a Bruxelles

Silvio Berlusconi ha ragione, l’Italia deve metterla giù dura, non solo per difendere se stessa e la propria posizione di secondo Paese manifatturiero d’Europa, ma anche per dare un contributo alla ripresa dell’intero continente. Ormai si susseguono le autocritiche sul modo in cui è stata concepita e applicata l’austerità.

I malumori pure in Germania

Tutti si pentono tranne l’Unione europea. O meglio, la Germania, nonostante al suo interno crescano le voci critiche non dalla destra nazionalista (più austerità e al diavolo l’euro), ma dalla sinistra riformista (meno austerità e rafforziamo la moneta unica). Il rallentamento della congiuntura, lo scontento politico manifestato dai sondaggi (scompaiono i liberali, Cdu-Csu ristagnano, crescono i Verdi), mostra che non tutti i tedeschi ragionano allo stesso modo e gli interessi sociali, economici e politici divergono.

Italia perdente in un braccio di ferro

Detto questo, l’Italia non è pronta per un braccio di ferro che la vedrebbe perdente. Non è solo questione di galateo o di tattica negoziale (non si dice all’inizio me ne vado perché la risposta classica è si accomodi pure). Ma di muscoli. Le nostre braccia sono deboli. Perché estenuate da tre anni di recessione e dai colpi dello spread usato come manganello? Anche, ma non solo. Il divario nei tassi d’interesse è aumentato quando è diminuita la fiducia nel governo italiano. E la fiacchezza della nostra struttura economica deriva da quindici anni di stagnazione. Colpa dell’euro? Certo, la moneta unica, così come è stata gestita, ha aumentato l’altro spread, quello della competitività, peggiorando gli squilibri interni. Tuttavia, l’Italia vi è arrivata già in condizioni di debolezza, tanto che il governo Prodi avrebbe preferito avere altri due anni di tempo, come è noto.

Il doppio dualismo

Non solo. Negli anni successivi non sono state realizzate le riforme necessarie per rafforzare l’economia domestica. Cioè l’industria che produce per il mercato interno, i servizi, la pubblica amministrazione, tutte le palle al piede che bloccano il Paese. Si è creato così un dualismo nel dualismo: da una parte imprese esportatrici che hanno tenuto il passo meglio della Francia (lo dimostrano i dati sul valore aggiunto), dall’altra la zavorra. Dunque, occorre accelerare le riforme per aumentare il nostro potere contrattuale.

Le politiche possibili

Ma che carte possiamo giocare al tavolo di Bruxelles? Non di sforare il deficit aumentando la spesa pubblica corrente, visto che siamo appena usciti dalla procedura d’infrazione. Potremmo, al contrario, preparare un robusto pacchetto fatto di interventi straordinari per ricapitalizzare e ripulire le banche, accompagnati da operazioni sullo stock del debito (privatizzazioni, ma non solo), liberalizzazioni, consistenti investimenti infrastrutturali. E’ probabile che tutto ciò faccia salire temporaneamente il debito. Ma può essere ben accolto, sostiene Lorenzo Bini Smaghi, se il piano è ben congegnato e se il governo che lo presenta è credibile e stabile. A quel punto, si aprono spazi per ridurre le imposte in modo significativo. Partire dalle tasse è sbagliato perché non ci sono margini nel bilancio pubblico e perché non esiste alcuna garanzia che, nelle condizioni odierne, il reddito redistribuito aumenti davvero la domanda effettiva (consumi e investimenti).

Berlusconi non indebolisce Letta

Paradossalmente, dunque, l’intervento di Berlusconi che la Repubblica chiama “ricatto all’Europa”, non indebolisce il governo. Certo, purché Enrico Letta si dia una mossa, come si dice a Roma. Temporeggiare non basta più, anzi non serve.

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