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Papa Francesco, il gesuita dalla vocazione missionaria

Novemila tra studenti ed ex studenti delle scuole rette dalla Compagnia di Gesù in Italia e Albania hanno salutato venerdì nell’Aula Nervi, in Vaticano, Papa Francesco. Lui, Jorge Mario Bergoglio, il primo Pontefice gesuita della storia, era perfettamente a suo agio. Era in famiglia, e la conferma l’ha avuta già dai saluti iniziali. Aveva anche un discorso scritto di cinque pagine, ma dopo essersi guardato attorno un attimo, ha preferito “fare un piccolo riassunto”, perché altrimenti il tutto sarebbe stato “un po’ noioso”. Dopo aver parlato di magnanimità, “che come ci insegna Sant’Ignazio è l’elemento principale nella scuola, e per ottenerla ci vuole una formazione spirituale”, ha dato spazio alle domande di bambini, adolescenti ed educatori presenti sul palco.

Domande a raffica
Niente di programmato, niente di stabilito a tavolino prima. Domande “a raffica”, ha detto il conduttore dell’evento (prima dell’incontro con il Papa si è svolto un piccolo spettacolo) Andrea Sarubbi, chiedendo conferma a Francesco se volesse davvero rispondere senza aver neppure letto le domande. Risposta affermativa di un Pontefice tranquillo e sorridente.

La vocazione missionaria
Così, Bergoglio ha ascoltato le parole di un giovane che ragazzo che “cerca di credere ma ha tanti dubbi” e ha anche raccontato qualche aneddoto sul perché abbia scelto di diventare gesuita e non sacerdote diocesano. “Quello che più mi è piaciuto della Compagnia è la missionarietà, e volevo diventare missionario”, ha detto il Papa. “Avevo anche scritto al superiore generale, padre Arrupe, perché mi mandasse in Giappone. Ma lui mi ha detto che avevo avuto una malattia al polmone e quindi sono rimasto a Buenos Aires”. Ancora una volta, Bergoglio è tornato su uno dei suoi cavalli di battaglia prediletti fin dal primo giorno di pontificato, quando ha ribadito la necessità di “andare fuori, andare nelle missioni e annunciare Gesù”. Un marchio per i soldati di Ignazio: “Credo che questo sia proprio della nostra spiritualità: andare fuori, uscire, non rimanere chiusi nelle nostre strutture”.

A Santa Marta per “motivi psichiatrici”
Una ragazza gli ha poi chiesto perché abbia rinunciato a trasferirsi nell’Appartamento papale, preferendo rimanere a Santa Marta. Non è tanto una questione di ricchezza, dice Bergoglio. “Per me è un problema di personalità. Motivi psichiatrici! Io ho necessità di vivere fra la gente, e se vivessi solo, un po’ isolato, ciò non mi farebbe bene”. E poi, ha aggiunto Francesco, “i tempi ci parlano di tanta povertà e tutti noi dobbiamo pensare se possiamo diventare un po’ più poveri”.

Il perfetto soldato di Ignazio
Il Papa ha evocato più di una volta il fondatore della Compagnia, Sant’Ignazio di Loyola. Non a caso, tra i pochi appuntamenti estivi già annunciati c’è la messa in occasione della ricorrenza del santo, il prossimo 31 luglio, con i padri gesuiti (ma non alla Chiesa del Gesù). Bergoglio incarna alla perfezione l’essere gesuita, basta considerare i suoi ripetuti accenni alla necessità di confessare (per i soldati di Ignazio la confessione deve essere frequente, così da ricavare consolazione e forza interiore), la sua totale autonomia decisionale: parla con tutti, prende nota delle questioni grandi e piccole e alla fine decide da solo.

La grande riforma in stile gesuita
E proprio sul modello gesuita Francesco potrebbe plasmare la nuova governance curiale. Un’idea che nei sacri palazzi circola da tempo, e che lo stesso direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, definiva “possibile, anzi naturale” in una conversazione con Formiche.net a fine aprile. “Prima di salire al soglio di Pietro – diceva Spadaro – Papa Francesco è stato provinciale dei gesuiti argentini, arcivescovo di Buenos Aires, presidente della conferenza episcopale argentina. Ha quindi esercitato significativi poteri di governo senza però separarsi dalla propria spiritualità ignaziana, che è parte di esso”.

L’ipotesi è quella di ricalcare il modello della Compagnia, dove accanto al Preposito generale ci sono dieci assistenti che coordinano gruppi di province omogenee per lingua e nazionalità. Il risultato sarebbe quello più volte fatto intendere da Bergoglio: depotenziamento della Curia e rafforzamento degli episcopati locali.

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