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I giudizi di Standard & Poor’s sull’Italia visti da Wall Street: Imu e Iva non ci azzeccano

Il grado di affidabilità dell’Italia? Ormai è allo stesso livello di Paesi come Marocco, Turchia o Bulgaria, anche se nella cerchia ristretta del blocco dell’euro resta superiore al merito di credito di partner vicini come Spagna e Portogallo. Secondo S&P, tutta colpa della scarsa competitività, della recessione in atto e delle ultime politiche fiscali annunciate dal governo Letta, aspetto a cui invece il Wall Street Journal sembra non attribuire troppa importanza.

BBB e outlook negativo

E’ questo il giudizio decretato da Standard & Poor’s con la decisione di tagliare il rating dell’Italia a BBB, con outlook negativo, un livello che nella graduatoria dell’agenzia di rating sta a significare che un Paese ha adeguate capacità di rispettare gli obblighi finanziari, anche se condizioni economiche avverse o cambiamenti delle circostanze sono più facilmente associabili ad una minore capacità di rispettare gli obblighi finanziari assunti.

Previsioni di crescita al ribasso 

S&P ha abbassato la sua previsione di crescita 2013 per l’Italia, a -1,9% rispetto al -1,4% previsto a marzo 2013 e al +0,5% stimato a dicembre 2011. Il rapporto debito/Pil? Al 129%.

Il crollo della produzione industriale

D’altra parte, rileva oggi l’Istat, nella media dei primi cinque mesi dell’anno la produzione industriale è scesa del 4,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nella media del trimestre marzo-maggio l’indice ha registrato una flessione dell’1,3% rispetto al trimestre precedente.

Pil e Pil procapite

S&P, osserva il Wall Street Journal, ha sottolineato come il Pil italiano nel primo trimestre del 2013 sia crollato dell’8% rispetto allo stesso periodo del 2007, una soglia destinata a diminuire ancora nel tempo. E anche il Pil procapite scende sotto ai livelli del 2007, con una stima di 25mila euro.

La rigidità nel mercato del lavoro

Ma, riporta il quotidiano, secondo l’agenzia gli ostacoli alla crescita del Paese sono rappresentati in larga parte dalle rigidità nel mercato del lavoro e dei servizi. I dati forniti dall’Ue suggeriscono che gli stipendi non sono allineati ai trend della produttività, un aspetto che sta pesando sulla competitività italiana. I costi nominali per unità di lavoro sono aumentati infatti più che in ogni altro grande Paese dell’eurozona. E la quota italiana nella produzione mondiale di beni e servizi, invece, è scesa di circa un terzo tra il 1999 e il 2012.

Il Wsj ignora le questioni Imu e Iva

Questa, secondo il Wall Street Journal, è la considerazione che ha pesato di più nel downgrade italiano deciso da S&P. La scarsa competitività e il costo del lavoro record italiani, d’altra parte, sono temi su cui il quotidiano del magnate Rupert Murdoch torna a battere spesso. Nessun riferimento invece viene fatto sull’altro fattore che S&P ha ritenuto fondamentale per la scelta annunciata ieri sera: se gli obiettivi di bilancio di quest’anno per l’Italia sono “potenzialmente a rischio”, la causa dipende da un mancato gettito fiscale che deriverebbe dalla sospensione dell’Imu e dallo slittamento dell’incremento di aliquota Iva.

Il Fmi l’ha sottolineato la settimana scorsa, Bruxelles pure, osservando che la tassazione sulla casa in Italia non rappresenta un problema quanto quella sul lavoro, che svetta invece nell’eurozona. Il messaggio adesso è chiaro anche negli Usa, forse meno in Italia.

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