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Spie, petrolio e potenze straniere. Il giallo kazako

La storia della moglie e della figlia del dissidente kazako espulse da Roma con una operazione di polizia talmente efficiente ed efficace da destare mille sospetti, si presta con grande facilità ad essere trattata come una Spy story. I media, anche quelli internazionali, hanno scritto infatti di “deportation”, di “extraordinary rendition” (come quelle tristemente celebri fatte in passato dalla Cia) e in generale di intrigo internazionale.

Al centro del caso non solo ci sarebbe una questione di diritti civili ma anche, e soprattutto, di rilevanti interessi economici che riguardano Astana. Il Kazakhstan è infatti un paese ad alta densità di risorse naturali che fanno gola a tutti i principali operatori internazionali di Oil e Gas.

Tornando alla vicenda di cronaca, sul banco degli imputati è finito il vicepremier, ministro degli Interni e segretario del Pdl, Angelino Alfano. Scaricato ufficialmente dal premier Enrico Letta, il giovane collaboratore di Berlusconi dovrà dimostrare di non aver messo il suo zampino (o anche solo aver autorizzato) un’operazione che nei suoi progetti non prevedeva un simile clamore.

Naturalmente, l’occasione è ghiotta per provare a saldare altri conti o a intorbidire le acque per le finalità più disparate. Il sito Dagospia, solitamente ben informato e comunque prontamente ripreso dal Fatto Quotidiano, ha introdotto nell’affaire l’ipotesi di un coinvolgimento del servizio segreto interno, l’Aisi, e del suo direttore – il generale Esposito – all’epoca molto sponsorizzato proprio dal Alfano e Schifani.

L’ipotesi è suggestiva ma inverosimile. Prima della riforma, l’ex Sismi dipendeva dagli Interni e dal suo ministero ma adesso l’agenzia interna risponde, anche attraverso il Dis ora retto dall’ambasciatore Massolo, al presidente del Consiglio e all’autorità delegata, il sottosegretario Minniti. Avendo i servizi stessi e Palazzo Chigi smentito di essere stati messi a parte della operazione di Ps, c’è da pensare che l’accusa al vertice dell’Aisi abbia spiegazioni più interne che kazake.

Per capire bene la dinamica internazionale che è alle spalle di questo caso, occorre leggere Il Manifesto. Il quotidiano comunista ha molto rarefatto i suoi contatti con l’ex Unione Sovietica ma ha in cambio aumentato nel tempo le sue fonti oltreoceano, secondo alcuni osservatori. In particolare, il giornale della sinistra offre una ricostruzione puntuale, verosimile e quindi inquietante.

Viene infatti descritto uno scenario che vede al centro il ruolo dell’Eni. Il Cane a sei zampe è infatti molto attivo in diversi Paesi emergenti e non sempre democratici (ma in cambio ricchi di petrolio). Qui la compagnia energetica italiana si muove producendo risultati brillanti che da un lato causano sospetti (tangenti per ottenere le concessioni) e dall’altro alimentano il risentimento dei concorrenti, che notoriamente non sono onlus dedite alla beneficenza.

Nel caso del Kazakhstan, stando all’articolo del Manifesto, ci troveremmo in presenza di un legame pericoloso fra uomini dell’impresa fondata da Mattei e il locale regime. Della cosa si starebbero occupando sia i magistrati milanesi (sarebbero aperti più fascicoli, stando alle notizie date dal quotidiano comunista) e soprattutto ci sarebbero – e sono citate espressamente – relazioni non poco irritate da parte degli Usa (dove business e diplomazia viaggiano insieme).

A infastidire è soprattutto Saipem, azienda gioiello di Eni e oggetto di inchieste (negli anni ’90 l’assalto a Cagliari parti da lì) così come di interessi predatori stranieri. Nella brillantissima operazione di Ps per estradare le due cittadine kazake ci sarebbe quindi l’ombra del Cane a sei zampe, è la tesi del Manifesto.

Se fosse vero, non potrebbe essere corretta anche l’ipotesi che dietro il clamore – tutto alimentato fra Stati Uniti e Inghilterra – non ci sia la mano di chi vuole ridimensionare la presenza italiana in Kazakhstan?

Al governo, e a Palazzo Chigi in particolare, terrà tenere gli occhi bene aperti. Questo pasticcio potrebbe contenerne dentro altri più grandi e non meno dannosi per gli interessi nazionali.

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