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Gli Emergenti appesi al filo di Fed e Bernanke

L’ansia cresce sui mercati, emergenti compresi. La pubblicazione delle minute, i verbali della riunione di luglio della Fed, lasceranno intendere agli operatori di Borsa quale sarà l’andamento futuro della politica monetaria americana. Ma la fiducia su un prolungamento del piano di Quantitative Easing (acquisto di titoli) da 85 miliardi al mese scarseggia. Secondo un sondaggio condotto da Bloomberg, il 65% degli economisti si aspetta una stretta monetaria (tapering) già a settembre.

L’attesa sui mercati

Una prospettiva che scarica le sue conseguenze negative sugli Emergenti. Baciati dai capitali in entrata, sull’onda della grande liquidità concessa dalla Fed e in cerca di alti rendimenti su titoli rischiosi, i Brics (Brasile, India, Cina, Russia) hanno finora nuotato tra Pil in forte crescita e finanziamenti a faraonici progetti infrastrutturali. Ma oggi che i rendimenti dei titoli americani, e in misura minore anche quelli europei, si prospettano in salita, i capitali tornano a casa, negli Usa, lasciando sforniti di liquidità gli Emergenti, e la Cina stessa che sta attuando una stretta monetaria. A poco valgono i tentativi per arginare questi costosi deflussi, come quello indiano, secondo colosso emergente con 1,2 miliardi, che è stato costretto a imporre restrizioni sulla quantità di valuta esportabile. Se prima hanno vacillato per una rivalutazione delle loro monete con un dollaro in discesa, con un conseguente calo dell’export verso gli Usa, il grido d’allarme è ora per motivi opposti: il rafforzamento del dollaro che incanta i mercati.

La pubblicazione delle minute

Wall Street e i mercati di tutto il mondo chiedono chiarimenti sulle prossime mosse della banca centrale americana e un appuntamento cruciale è quello di oggi, con la diffusione dei verbali della riunione del 30-31 luglio della Fed. I verbali sono l’ultimo appuntamento importante in calendario per il mese di agosto. Poi lo stato di salute dell’economia americana sarà testato il 6 settembre, quando saranno diffusi i dati sull’andamento della disoccupazione, parametro decisivo nelle scelte di politica monetaria americane. Mentre i mercati attendono indicazioni, e nel frattempo cercano di digerire l’atteso calo degli acquisti di asset da parte della banca centrale, l’attenzione è tutta su Washington, dove si gioca la più ampia partita della nomina del successore di Ben Bernanke.

La prossima riunione della Fed

La Fed si riunirà il 17-18 settembre, un incontro al quale, ancora una volta, si presenta spaccata, con i falchi all’attacco per un ridimensionamento degli aiuti a fronte di un miglioramento dell’economia e della paura di un balzo dell’inflazione. A far loro da contraltare le ‘colombe’, sostenitrici degli stimoli all’economia a fronte di una ripresa incerta e di un tasso di disoccupazione che, se anche dovesse calare, sarà sempre elevato per la media americana.

Il basso livello d’inflazione

Lo scenario di un balzo dell’inflazione, tratteggiato dai falchi, non si è verificato, anche se è vero che l’economia mostra segnali di rafforzamento, come dimostra l’andamento delle richieste dei sussidi alla disoccupazione, scesi ai minimi dal 2007, e quello del mercato immobiliare. Ma i prezzi restano sotto controllo e probabilmente Bernanke sarà il presidente della Fed che lascerà con il tasso più basso di inflazione rispetto a tutti i suoi predecessori. Sicuramente inferiore al 2,5% di media dell’era Alan Greenspan.

La fuga dei capitali dagli Emergenti

I timori sulle scelte della Fed hanno innescato una fuga dai mercati dei Paesi emergenti, tornando a far agitare i timori di crisi valutarie e di credito simili a quelle degli anni 1990 in Asia. I Paesi in via di sviluppo più colpiti sono quelli che hanno accumulato i maggiori deficit, come l’India e la Thailandia, e per i quali gli investitori, a fronte di un’assunzione di rischio, chiedono maggiori ritorni. Ad essere travolto dalla fuga di capitali di ritorno negli Usa è anche il Brasile, che dopo il boom degli scorsi anni si prepara ad uno stop relativo alla crescita del Pil. Un allarme che ha già trovato eco nelle proteste di piazza dei mesi scorsi.

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