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G20, i vaghi accordi economici che coprono le divisioni sulla Siria

Ci si cruccia per il nulla di fatto riguardo la Siria, e si festeggia invece per i risultati economici. O, quantomeno, questa è l’atmosfera tra i delegati italiani. Ma i grandi accordi del G20 di San Pietroburgo sembrano piuttosto trattative rinviate, se non disaccordi mascherati. C’è l’impegno a razionalizzare le discipline fiscali nazionali (ancora una volta) e la spaccatura sulle politiche monetarie da perseguire. Tra Stati, emergenti ed avanzati, così come tra istituzioni internazionali, con l’Ocse che preme per mantenere le briglie sciolte, e il Fmi di Christine Lagarde che chiede un’exit strategy chiara.

“Risultati utili soprattutto dal punto di vista economico e finanziario” ma “delusione” per le divisioni sul dossier siriano tra i leader del G20, ha detto il presidente del Consiglio, Enrico Letta. Entusiasmo giustificato?

L'”accordo” sull’evasione fiscale internazionale

Uno dei temi al centro del dibattito ha riguardato l’evasione delle grandi multinazionali. “L’evasione e l’elusione fiscale ‘cross-border’ minacciano la fiducia dei cittadini nella correttezza del nostro sistema. Oggi sottoscriviamo piani per affrontare questi problemi e ci impegnamo a compiere passi per cambiare le nostre regole per affrontare l’elusione, le pratiche dannose e i piani fiscali aggressivi”, si legge nel comunicato finale. Piani e impegni da affrontare più in là, insomma. Il flusso di capitali che arriva anche per via dell’elusione internazionale non fa mai male, sotto sotto, quando a scarseggiare sono le entrate fiscali nazionali, decapitate dalla crisi.

L’exit strategy delle banche centrali

I Paesi del G20 hanno poi concordato l’inevitabilità di una normalizzazione delle politiche monetarie delle banche centrali, mentre le economie escono dalla prolungata fase di crisi, ma hanno anche stabilito che queste manovre devono essere “attentamente calibrate e comunicate chiaramente”. Peccato che la Fed si prepari ad una stretta monetaria, la Bce si impegna a tenere tassi accomodanti, se non a ridurli ancora (a parole), e la Bank of Japan prosegua con la sua linea kamikaze (nei confronti del debito), ma che sembra l’unica via d’uscita dalla deflazione che affligge il Paese da quindici anni a questa parte. Chiamiamola normalizzazione e buona comunicazione poi, se si vuole.

Negli ultimi mesi soprattutto la prospettiva della fine degli stimoli monetari negli Usa da parte della Federal Reserve, il Quantitative Easing, ha innescato massicci sommovimenti di capitali. Deflussi di investimenti, da vari Paesi emergenti rientrano verso gli Usa attratti dalla prospettiva di trovare rendimenti più allettanti, perché il venir meno degli stimoli implica un generale rafforzamento dei tassi delle attività a reddito fisso, in particolare i titoli di Stato americani. Il tutto ha innescato scivoloni delle valute di vari Stati emergenti, e uno speculare rafforzamento del dollaro. Cali valutari che anche a causa di problemi interni sono stati particolarmente pesanti sulla lira turca e la rupia indiana. Ed è questo che ha creato la spaccatura più forte, tra Emergenti e Usa. Ma guai ad accennarne nel comunicato finale.

L’Italia non più sorvegliata speciale

E dulcis in fundo, il ruolo dell’Italia, che torna a giocare un ruolo da protagonista sulla scena internazionale, ha assicurato Letta. “Ho trovato molto importante che l’Italia si sia presentata non più dietro la lavagna, non più sorvegliato speciale e quindi abbia potuto agire su molti temi con grande determinazione e anche con le mani libere dalle zavorre che ci siamo portati dietro in questi anni”. “Non ci prendiamo le bacchettate sulle dita perché i compiti li abbiamo fatti”, ha detto Letta. Non siamo più sorvegliati speciali? L’Unico Paese del G7 e solo tra i big dell’eurozona a sprofondare ancora nella recessione? E dove i sono i compiti a casa? Le grandi riforme strutturali, la ripresa della competitività, una minore rigidità nel mercato del lavoro? Su carta, come i “risultati utili” del G20.

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