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Su Berlusconi affidiamoci alla Corte costituzionale. I consigli di Guzzetta

Altro che ricorso in Europa, sulla Severino decida la Corte Costituzionale. E’ l’opinione di Giovanni Guzzetta, costituzionalista e docente ordinario di Diritto pubblico all’Università di Roma Tor Vergata, tra gli autori dei tre quesiti referendari sulla legge elettorale per cui si è votato nel giugno del 2009 e componente del Comitato direttivo della Scuola superiore della Magistratura italiana.

Guzzetta spiega a Formiche.net perché la Corte Costituzionale ha competenza anche a sindacare il rispetto da parte delle leggi della Convenzione europea sul caso Berlusconi.

Perché solo la Corte Costituzionale può risolvere i dubbi sulla legge Severino?
In quanto, a seguito della riforma entrata in vigore nel 2001, ha competenza anche a sindacare il rispetto da parte delle leggi della Convenzione europea, applicando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Quindi credo che il problema possa essere risolto ben prima di giungere alla Corte europea.

Come garantire al Cavaliere il diritto alla difesa senza sospetti di tecniche dilatorie?
Il concetto di tecnica dilatoria è un concetto politico, le tecniche sono o meno dilatorie a seconda se il diritto consenta una facoltà o meno. Se il diritto permette la facoltà di eccepire sull’incostituzionalità di una legge e attribuisce a quella eccezione alcune conseguenze, beh quella non è una tecnica dilatoria: solo l’esercizio di un diritto processuale.

Nella prima giornata il relatore Augello ha sottoposto alla Giunta non la ricostruzione del processo, ma tre pregiudiziali: un errore?
Non ho letto la relazione di Augello che mi risulta essere particolarmente corposa, ma è chiaro che le eccezioni di illegittimità sono certamente pregiudiziali rispetto alla decisione di merito: ovvero se dichiarare o meno la decadenza.

Quali rilievi muove alla legge Severino?
Credo di essere stato il primo a sostenere la tesi che non sia applicabile retroattivamente al caso Berlusconi, perché prevede una sanzione o una conseguenza sfavorevole per un fatto commesso prima dell’entrata in vigore della legge. Se fosse interpretata in questo modo avrebbe un effetto retroattivo. Contrariamente non sarebbe valida nel caso in questione.

Come replica ad alcuni suoi colleghi che definiscono il ricorso alla Corte di Strasburgo intempestivo?
Quand’anche il ricorso fosse intempestivo, la decisione della Giunta che non tenesse conto di tale circostanza sarebbe certamente legittima per la presentazione di un nuovo ricorso.

Perché sostiene che l’interdizione sia una fattispecie diversa?
Lo prevede il nostro ordinamento, tanto è vero che l’incandidabilità viene definita quanto alla durata nel doppio della pena interdittiva. Se fosse la stessa cosa allora sarebbe identica anche la durata, invece non lo è. Sono due fattispecie diverse ma molto simili, addirittura si potrebbe dire che l’incandidabilità è un’ulteriore pena interdittiva mascherata, raddoppiando la precedente. Ma vi sono molteplici altri profili, penso ad esempio al fatto che su una pena interdittiva possa intervenire un procedimento di grazia, mentre è da valutare se la grazia sia applicabile o meno all’incandidabilità.

La richiesta della grazia risolve però solo metà del problema?
Si può chiedere sulla pena principale, ma non su quella accessoria. Il problema non sarebbe risolto per quanto attiene allo status di parlamentare. Non toccherebbe l’interdizione dai pubblici uffici perché, non essendo stata erogata quella pena, non si può chiedere la grazia.

twitter@FDepalo

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