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L’apertura nucleare dell’Iran che non eccita Washington

Il presidente iraniano Hassan Rouhani sposa la linea del pragmatismo e del dialogo e, rispettando le attese, segna un netto distacco politico sul piano pubblico dal suo predecessore Mahmoud Ahmadinejad.

La prima dimostrazione concreta di questo orientamento si è avuta in Siria dove, al netto del sostegno militare alle truppe di Assad – provato da un video di cui dà conto il New York Times – Teheran si è tenuta fuori dalle beghe e dai negoziati fra Stati Uniti e Russia, che hanno portato all’accordo Kerry-Lavrov di smantellamento delle armi chimiche, benedetto dalle Nazioni Unite.

UN NUCLEARE TRASPARENTE
Allo stop in Siria è seguito un ulteriore, forse decisivo passo indietro. L’Iran – ha sottolineato il ministro degli Esteri di Teheran, Mohammad Javad Zarif, nel corso di un’intervista rilasciata all’emittente libanese al-Mayadeen – è disponibile a costruire un rapporto di fiducia con gli Usa per risolvere la crisi legata al suo programma nucleare.
Le dichiarazioni di Zarif sono giunte dopo che ieri il presidente americano Barack Obama, durante un’intervista alla Abc, ha rivelato di aver avuto uno scambio di lettere con Rohuani.
Penso che gli iraniani comprendano che la questione del nucleare è un problema molto più importante per noi di quello delle armi chimiche“, ha affermato il presidente Usa. “Ciò che dobbiamo trarre da questa lezione (dalla questione siriana, ndr) è che c’è il potenziale per risolvere tali questioni in modo diplomatico“, ha affermato Obama.
Frasi alle quali ha replicato prontamente il nuovo responsabile dell’Organizzazione per l’energia atomica iraniana (Oeai), l’ex ministro degli Esteri Ali Akbar Salehi, che rafforzando il concetto espresso da Zarif ha detto che l’Iran intende “rafforzare” ed “espandere” la cooperazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). Intervenendo a Vienna all’incontro annuale degli Stati membri dell’Aiea, Salehi ha detto di essere “venuto qui con un messaggio del mio presidente eletto per rafforzare ed espandere ulteriormente la nostra cooperazione con l’Agenzia con l’obiettivo di chiudere il cosiddetto dossier nucleare iraniano“. Il responsabile dell’Oeai ha quindi tenuto a precisare come l’elezione del moderato Rouhani abbia creato un “ambiente favorevole” per una soluzione della crisi. Salehi ha infine sottolineato che il governo iraniano è “ottimista” in merito all’esito del prossimo incontro con le potenze mondiali del gruppo “5+1” (i Paesi che hanno potere di veto all’Onu più la Germania), auspicando che “le due parti partecipano al vertice con intenzioni positive” e con l’obiettivo di risolvere le questioni in sospeso “sulla base di un approccio win-win“, ovvero che entrambi gli schieramenti ottengano un risultato di rilievo.

Fordo, il sito nucleare iraniano nei pressi di Qom
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ECONOMIA AL COLLASSO
E l’obiettivo più importante per Teheran, come testimonierebbe un rapporto di fonti di intelligence riservate pubblicato dal settimanale tedesco Der Spiegel, è innanzitutto economico. Le casse iraniane sono al collasso e i dati ufficiali, già di per sé negativi, sarebbero ritoccati per eccesso. Per questo, si legge nel dossier, l’Iran sarebbe disponibile a rivedere il proprio programma nucleare, perseguendo solo scopi civili e mettendolo sotto il controllo dell’Onu in cambio di un allentamento delle sanzioni internazionali.

LE APERTURE DI TEHERAN
Già nelle scorse settimane le critiche al regime siriano dell’ex premier della Repubblica islamica Hashemi Rafsajani avevano creato i presupposti per un clima distensivo con Washington. Una tensione allentata ulteriormente da un’intervista del ministro Zarif, che parlando con Christiane Amanpour della Cnn, aveva lanciato un messaggio a Israele dicendo che “l’Iran non ha mai negato l’Olocausto” e che “gli ebrei non sono nostri nemici“; una volontà rafforzata via Twitter, dove Zarif ha augurato ai fedeli ebrei Buon Rosh Hashanah. Aperture che Rouhani – pur dovendo mitigare di continuo anche con dichiarazioni pubbliche le perplessità delle Guide religiose del Paese e dei Pasdaran, sempre scettici e belligeranti nei confronti degli Usa – non ha vuole sprecare.

IL DISCORSO ALL’ONU
Come suggeriscono alcune indiscrezioni, Rouhani potrebbe sfruttare il suo discorso alle Nazioni Unite il 24 settembre per presentare un nuovo Iran più moderato e proporre la chiusura del sito di Fordo. “In quella sedeha sottolineato a Fox News Merhzad Boroujerdi, direttore del programma di Studi Mediorientali della Syracuse Universitysi toccherà con mano quali sono le vere intenzioni di Teheran“. Prima di allora, aggiunge, sarà una sorta di “sorvegliato” speciale.

I LEGAMI CON LA SOLUZIONE SIRIANA
A creare i presupposti di un avvicinamento tra Usa e Iran sono state sì la figura moderata di Rohuani e la diplomazia di Zarif, ma soprattutto la soluzione diplomatica della crisi siriana. Come ha spiegato Robert Einhorn, un ex alto negoziatore nucleare degli Stati Uniti intervenuto giovedì scorso in un panel del think tank americano Atlantic Council, l’atteggiamento attendista di Obama potrebbe aver riacceso le speranze iraniane di un alleviamento delle sanzioni in cambio di un atteggiamento più dialogante. Ma, specifica Einhorn ripreso da Al-Monitor, le parole non bastano e il regime degli Ayatollah dovrà “dimostrare con i fatti” che intende rivedere il suo programma nucleare. Che, nelle intenzioni Usa, “potrebbe non prevedere nessuna forma di arricchimento dell’uranio“, nemmeno per usi civili.

Barack Obama e Hassan Rouhani
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LO SCETTICISMO DEGLI USA
Ed è per prima l’Amministrazione Usa a smorzare gli animi iraniani. Ieri, a Gerusalemme, in un messaggio indirizzato al premier israeliano Benjamin Netanyahu per rassicurarlo e informarlo sugli ultimi sviluppi della trattativa, il segretario di Stato Usa John Kerry ha detto che l’accordo tra Stati Uniti e Russia per mettere al sicuro l’arsenale chimico siriano non inciderà sulla volontà di Washington di impedire che l’Iran si doti di armi atomiche.
L’Iran, era in sintesi il messaggio, non deve trarre le conclusioni sbagliate dalla sua decisione di fare un passo indietro rispetto a un attacco missilistico contro la Siria. Il fatto che gli Usa non abbiano attaccato il regime di Damasco “non deve portare Teheran a pensare che non attaccheremmo l’Iran“.

I RISCHI DI UN ACCORDO
La prudenza di Washington non è conseguenza solo della diplomazia. Un eventuale accordo con l’Iran porrebbe comunque diversi interrogativi. Anche se Teheran chiudesse il sito di Fordo, le riserve del Paese di uranio a basso e medio arricchimento e le 18mila centrifughe installate in un altro impianto nei pressi di Natanz – ha dichiarato a Bloomberg Mark Dubowitz, direttore esecutivo della Fondazione per la difesa delle Democrazie di Washington – gli consentirebbero di realizzare comunque armi nucleari.
E poi, conclude il rapporto dello Spiegel, chi potrebbe controllare lo smantellamento delle centrifughe quando sono stati conclusi già i due terzi del processo necessario a produrre una testata nucleare? Come saranno trasportate assieme a materiale così delicato? Che fine farà il reattore di Arak, che entrerà in funzione nel 2014 e sarà capace di produrre plutonio?

Domande a cui, sottolineano gli esperti, gli abili negoziatori iraniani si guardano ancora bene dal rispondere.

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