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Il centrodestra non può essere euro entusiasta e merkeliano. Parla Sangiuliano

Una galassia di forze alla ricerca della propria identità. Tutte protese verso la creazione di una coalizione plurale che dovrà fare i conti con il panorama frastagliato frutto del Big Bang del Popolo della libertà e della diaspora di Alleanza Nazionale. La rinascita di Forza Italia e il decollo del Nuovo Centro-destra, il ritorno ad AN e il lancio di Rifare l’Italia, oltre a un Carroccio più che mai frantumato fra visioni e candidature in vista del congresso.

È tramontato per sempre l’orizzonte di una grande formazione unitaria alternativa al fronte progressista in una dialettica politico-istituzionale bipartitica? Formiche.net ha rivolto l’interrogativo a Gennaro Sangiuliano, vice-direttore del Tg1 ed editorialista del Giornale e di Libero, oltre che docente in materie economico-giuridiche nella facoltà di Economia dell’Università La Sapienza e in quella di Giurisprudenza della LUMSA. Sangiuliano osserva da tempo gli orientamenti dell’opinione pubblica conservatrice in Italia e nelle democrazie politiche più avanzate: ha pubblicato una biografia del fondatore della “Voce” dal titolo “Giuseppe Prezzolini, l’anarchico conservatore”, e con Vittorio Feltri “Una Repubblica senza Patria. Storie d’Italia dal 1943 a oggi”.

Come legge la spaccatura del Pdl?

Il problema non riguarda le alchimie delle varie oligarchie politiche. Guarderei piuttosto all’elettorato. Attualmente l’opinione pubblica di centrodestra si stia orientando su posizioni critiche verso l’Unione Europea, la moneta unica e i poteri forti di Bruxelles. E, compresi i limiti del politicamente corretto, ha abbracciato una visione negativa della globalizzazione finanziaria conosciuta negli ultimi 10 anni. Un buon politico deve comprendere tali tendenze interpretando le aspettative del proprio elettorato. Fortemente ostile verso una gestione dell’economia nazionale appaltata ai tecnici della Banca d’Italia.

A quali figure pensa?

Mi viene in mente David Cameron. Il quale vuole ridurre a ogni costo il volume del contributo economico a favore dell’Ue da parte del Regno Unito, oggi seconda economia europea e quarto finanziatore delle istituzioni comunitarie grazie a una scelta compiuta negli anni Ottanta da Margaret Thatcher. È necessaria una leadership in grado di rompere gli schemi come quella del Front National Marine Le Pen e come in una certa fase ha fatto Nicolas Sarkozy. Una guida capace di ridiscutere i rapporti con Bruxelles, pur senza fuoriuscire dall’area della moneta unica. Una figura irriverente ed estranea ai rituali paludati oggi prevalenti. E anche populista, se con il termine intendiamo popolare e sociale.

E nel nostro Paese?

Nel centro-destra italiano ritengo che per ora soltanto Giorgia Meloni possieda tale fisionomia e profilo. Mentre Marina Berlusconi ha ribadito a chiare lettere che non vuole scendere in campo. Affermazione di cui non sono così certo. Prima dei nomi, in ogni caso, è doveroso definire un chiaro progetto politico-culturale.

La spaccatura del Pdl porterà alla nascita di forze distinte ma compatibili o a due gruppi alternativi e ostili?

Teoricamente la scomposizione del Popolo della libertà potrebbe essere un bene, poiché in Italia è fallita la prospettiva del bipartitismo. Le realtà anglosassoni hanno maturato questa dinamica attraverso secoli di storia. Mentre noi abbiamo voluto costruirla in modo artificiale e in breve tempo. La seconda Repubblica è naufragata per l’incapacità di realizzare le riforme istituzionali e modernizzare l’economia. E tale sconfitta ha trascinato con sé ogni velleità di bipartitismo. Anche nel versante progressista, considerando la virulenta reazione dei post-comunisti del Pd verso l’ascesa di Matteo Renzi. Al contrario, dai cittadini italiani è stato ben assimilata la competizione di tipo bipolare, tra coalizioni articolate in diverse anime. Che esiste e funziona in Francia con un centro-destra plurale e in Germania grazie al patto tra Cristiano-democratici e alleati bavaresi conservatori della CSU.

Assisteremo alla riedizione della della Casa delle libertà?

È probabile. Bisogna procedere verso un’alleanza che comprenda cattolici centristi, Lega Nord e destra. A condizione però che il Nuovo Centro-destra non si appiattisca troppo sul governo delle larghe intese orientato sul centro-sinistra e permeato di una cultura eurocratica fondata sull’austerity e sullo svuotamento della sovranità nazionale. Perché, se l’esecutivo prosegue il proprio tragitto e per due anni Forza Italia resta all’opposizione, vedo molto ardua una coalizione comune.

La nuova Forza Italia avrà un approdo oltranzista populista o liberale-liberista, con un ritorno ai “principi del 1994”?

Non riesco a prevederne lo sbocco. Ma rilevo un fenomeno interessante. Mentre fino a un anno e mezzo fa gli esponenti di spicco del PPE europeo come Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno costituito un grosso limite di legittimazione internazionale per Silvio Berlusconi, adesso l’ostilità espressa nei suoi confronti dall’entourage popolare può essere un fattore positivo e di liberazione per il Cavaliere. Ma egli non ha grandi spazi di agibilità politica. E numerosi osservatori ignorano il regime stringente dell’affidamento ai servizi sociali.

L’ex capo del governo appare intenzionato a emarginare anche “falchi e lealisti” per far crescere una nuova classe dirigente.

La politica non si può promuovere con la logica del casting, se pur sotto la regia abile di Publitalia. Basta rileggere la formazione degli statisti e delle grandi personalità pubbliche del Novecento per capire che una leadership autorevole va costruita nel territorio, nel rapporto continuo e intenso con gli elettori. E va consolidata tramite un cursus impegnativo di selezione e militanza. È altamente illusorio pensare di crearla con qualche provetta in laboratorio.

Vi sono le prospettive per una riunificazione della galassia di destra legata ad Alleanza Nazionale?

L’assenza di una destra autentica e organizzata è un segno ulteriore dell’anomalia della realtà politica italiana. Pensi che nella stagione iniziale della prima Repubblica, tra il 1946 e il 1963, monarchici e missini raggiungevano insieme il 10 per cento dei voti. E un pensiero di destra è sempre esistito. AN è franata più per questioni personali che per ragioni di dissenso politico. E  gioco-forza dovrà essere ricreata una formazione comune. Per ora l’esperimento più credibile in tale direzione mi sembra l’Officina per l’Italia, che può contare su una leader forte e giovane come Meloni.

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