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Cybersecurity, ecco perché l’informazione è un valore economico

Il tema del valore economico dei dati e della sua relazione con sicurezza economica, trasparenza e libertà sollecita qualche linea di commento, al di là della problematicità delle soluzioni tecnologiche della sicurezza in Internet.

UN TEMA COMPLESSO
Sotto il profilo giuridico, invocare il Codice della protezione dei dati personali e il forse prossimo nuovo regolamento europeo in materia offusca l’improprietà semantica della norma ché non si tratta di privatezza, riservatezza o dati sensibili inerenti le persone ma di masse di dati inerenti società, Stati, nazioni.
Il tema più ampio è, infatti, il possesso e la gestione di entità cospicue di dati, trattate digitalmente, che non dovrebbero essere rese pubbliche né accedute liberamente o abusivamente, pena la compromissione economica, sociale e politica di soggetti istituzionali nazionali e locali, pubblici e privati.

IL VALORE ECONOMICO DELL’INFORMAZIONE
L’informazione è un valore economico, prova ne sia l’uso corrente sotto il profilo statistico econometrico da parte delle agenzie di rating di informazioni economiche e sociali e gli attuali guasti finanziari negli assetti economici dei sistemi Paese, tutti.
Come è noto, poi, le previsioni di andamento economico relative ai debiti sovrani, a regioni, banche, e via dicendo configurano un mercato dell’informazione economica delicatissimo, addirittura per gli equilibri di finanza mondiali.
E, dunque, trattare genericamente il tema affermando che tutto già si sa o è pubblico, anche del privato, è un azzardo in un clima generale preoccupato e teso per gli assetti politico-economici dei sistemi paese in fase di ripresa lenta dalla recessione.

Il quesito connesso riguarda la dualità funzionale della proprietà delle informazioni: quelle inerenti i singoli individui, che ora popolano i social network, e quelle dei sistemi di dati istituzionali pubblici e privati e il loro uso.

LE OMBRE DEI SOCIAL NETWORK
Pensiamo anzitutto alla montagna di dati nei social network. I sistemi di profilazione che emergono sono inquietanti e comprendono, ovviamente, informazioni sugli stili di vita, percezioni sociali, economiche e religiose, tendenze e abitudini consumeristiche fornite spontaneamente dai frequentatori dei network.
La riorganizzazione e la classificazione di questi dati è la più grande macchina da guerra commerciale che si potesse immaginare, abbinabile ai flussi di dati e informazioni connessi al tracciamento degli scambi telefonici e di mail in essere.
Questi dati sono proprietari.
Chi si colloca in un social network cede i propri contenuti spontaneamente. E, in buona fede, forse, crede che questi dati possano rimanere in parte inaccessibili a tutti, disponibili solo nelle cerchie prescelte. Davvero stupefacente.
I nuovi mandarini del terzo millennio già possiedono l’identikit mondiale degli abitanti del nostro pianeta e ne possono disporre liberamente. Qualcuno dirà: “Inevitabile”.
Siamo noi che ci offriamo alla mensa informativa globale, incauti o inconsapevoli commensali di una tavola imbandita ma non per noi.
I colossali interessi del web marketing e del web sentiment poggiano languidamente sulla ingenua volontà presenzialista degli individui.
Ma che dire della componente sociale e politica di questa mensa. Certo, nessuno ha nulla da nascondere ma dati di tendenza, preferenze politiche, atteggiamenti sociali corrispondono a un nascente rating di masse sociali il cui uso è di gran lingua più forte di qualunque sondaggio a campione. Il possesso di questi dati è almeno conturbante.

IL SETTORE ISTITUZIONALE
Considerazioni affini ma in chiave statuale valgono per i soggetti istituzionali, pubblici e privati, amministrazioni e istituzioni dello stato, forze sociali ed economiche, aziende e banche nell’uso di tecnologie in Internet quali il cloud computing.
L’esternalizzazione dei dati su piattaforme cloud per le diverse forme di storage, elaborazione e scambio di informazioni di fatto limita la sovranità e la possibilità di gestione dei dati esternalizzati.
Il tema non riguarda solo il rischio di continuità del servizio, il blocco dei dati, il trasferimento e la cancellazione degli stessi.
Non riguarda neppure l’uso malicious per fini economici e sociali degli stessi.
Siamo in presenza di un rischio globale di perdita del controllo, appunto della sovranità informativa necessaria per difendere i propri interessi: nelle aziende come nelle banche, nelle amministrazioni come nei partiti politici. Il tutto nelle mani di pochissimi giocatori noti: i giganti tecnologici e le loro immense risorse informative che da contratto, nella richiesta di servizi cloud da parte dei clienti, si informa vengono depositate in cassaforti le cui chiavi stanno altrove. Il mercato tecnologico va assecondato per gradi, con regole e sperimentazioni prima di procedere a soluzioni incaute: occorre sapere e provare.

IL NODO GIURIDICO-NORMATIVO
E, dunque, il tema giuridico-normativo sulla privacy, estesa a un più generale diritto alla protezione dei dati, fa pensare. Non esistono norme adeguate in materia e le norme nazionali, ove esistano, si scontrano con problemi di giurisdizione. E anche, ove esistessero norme, le procedure di rivalsa potrebbero risovere i danni?
Il caso dei severissimi protocoli di gestione statunitense in materia di cloud di cui ci informa il National Institute of Standards and Technology (NIST), la recente estensione della norma americana che consente al governo di accedere a queste immense basi di dati per questioni di sicurezza nazionale, e gli allarmi lanciati dall’agenzia europea ENISA e dal Parlamento europeo con l’invito pressante all’Unione europea a fare qualcosa, testimoniano un allarme sociale diffuso, talora banalmente interpretato.

TROPPA CONFUSIONE
Confondere, come fanno alcuni, i movimenti dei dati aperti, gli open data, con queste tematiche è poi un’ingenuità che non ci possiamo permettere.
Gli open data, scientifici e culturali, amministrativi e sociali sono un invito sì alla trasparenza o all’accessibilità delle informazioni ma a quelle che spettano di diritto o per volontà esplicita di cittadini o di gruppi di individui che tale libertà di accesso auspicano.
Quale scienziato rivelerebbe una formula in via di definizione alla comunità scientifica di riferimento prima di averla completata; e quale nazione rivelerebbe le proprie strategie economiche o militari al vasto pubblico?!

I RISCHI IN ITALIA
La nuvola di comunità della NASA ha presto chiuso i battenti e persino i dati didattici del MIT nei repository formativi sono striminziti e generici.
Gli open data nell’e-government dovrebbero consistere in un’architettura fruibile di contenuti in piattaforme e siti delle pubbliche amministrazioni sviluppate in totale servizio dei clienti cittadini e le basi di dati delle amministrazioni dovrebbero rimanere sicure e protette, non disponibili al mercato, ahimè come potrebbe avvenire in pericolosa controtendenza nella realtà italiana che prevede normativamente la possibilità di richiesta e uso anche commerciale delle basi di dati pubbliche attraverso una semplice licenza.

LE SFIDE DEL FUTURO
Dunque, tematiche del terzo millennio complesse, problematiche, in parte ansiogene che invocherebbero un’etica globale di cui il pianeta non dispone. E allora, che fare? Prudenza per il momento, gestione democratica e trasparente dell’informazione utile alla vita democratica ma controllo severo dei dati di sistema. E, soprattutto, attenzione ai salti nel buio. Il potere dell’informazione non sta nell’accesso a una massa disordinata di dati ma nella capacità di immagazzinamento quantitativamente massiccio e digitalmente classificato, incrociato ed elaborato. Questo è il valore strategico dell’informazione. Ma è un valore da gestire consapevolmente.

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