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Egitto: rivolta popolare o guerra civile?

Il terzo anniversario dell’inizio della rivolta che, dopo 18 giorni, cacciò dal potere il presidente Hosni Mubarak è stato caratterizzato da un aumento delle violenze non tanto da parte dei manifestanti, che protestavano contro il governo transitorio e la cacciata di Mohamed Morsi dalla presidenza, ma soprattutto dell’Ansar Beit al-Maqdis (“sostenitori di Gerusalemme”), che costituisce ormai “l’ala armata della Fratellanza Musulmana”. Esso ha abbattuto un elicottero dell’esercito con un missile contraereo portatile, verosimilmente uno Strela russo (SA-7, secondo la denominazione Nato),probabilmente sottratto agli arsenali di Gheddafi. Ha attaccato al Cairo con potenti cariche di esplosivo la Direzione Generale della Sicurezza e l’Accademia di Polizia.

UN BILANCIO PESANTE
Il bilancio degli scontri è pesante. Il governo ha reagito con durezza: cinquanta i morti, duecentocinquanta i feriti, mille gli arresti. Esercito e polizia non hanno accusato sbandamenti. La loro coesione ed efficienza erano apparse forti già durante il referendum del 14 gennaio. che ha approvato la nuova costituzione, approvata plebiscitariamente dal 95% dei votanti, con percentuale di votanti del 38%. Essa sembra bassa. È stata però maggiore a quella che aveva approvato la costituzione del 2012 (32% favorevoli, sul 64% dei votanti.

SICURI DEL CONTROLLO
Il governo sembra sicuro di mantenere il controllo dell’ordine pubblico. È sostenuto dalla massa degli egiziani. Lo dimostra il fatto che Abdel Fattah al-Sisi, uomo forte del regime, ministro della Difesa e comandante delle Forze Armate – recentemente nominato maresciallo – è stato autorizzato dal Consiglio Supremo delle Forze Armate a presentarsi come candidato alle elezioni presidenziali, che si terranno in Egitto, in data da destinarsi, comunque fra il 17 febbraio e il 18 aprile. Molti, fra cui l’Arabia Saudita principale finanziatrice dell’Egitto, erano contrari alla sua candidatura. Avrebbero preferito che non assumesse responsabilità dirette di governo, ma che rimanesse “riserva della repubblica, e “guardiano” della costituzione. La “discesa in campo” di al-Sisi potrebbe erodere l’ampio consenso popolare, al limite dell’idolatria, di cui godono le forze armate. Nelle celebrazioni di Piazza Tahrir sono scomparse le fotografie dei “martiri” della rivolta di tre anni fa. Sono state sostituite da quelle di al-Sisi, salvatore del paese dalla deriva islamista.

LA STRATEGIA DEGLI USA
Gli Usa si sono resi conti degli umori della piazza egiziana. Verseranno all’Egitto il miliardo e mezzo di dollari di aiuti annuali, sospeso dopo il “colpo di stato” del 3 luglio scorso – termine a cui è politicamente corretto aggiungere la qualifica “popolare”, dato l’ampio consenso di cui hanno goduto i golpisti. Tale decisione, di certo motivata anche dal miglioramento dei rapporti fra Il Cairo e Mosca, annulla uno dei vari pasticci fatti dall’Amministrazione Obama in Medio oriente, che aveva lasciato interdetti gli europei. Infatti, mentre la Casa Bianca interrompeva gli aiuti, pattuiti con l’Egitto al momento degli accordi di pace con Israele, il segretario di Stato John Kerry qualificava l’azione dei militari come “un’iniziativa per la democrazia”. Mah! Speriamo in bene. Le contraddizioni di Washington neutralizzano anche l’Ue.

I CONTATTI CON HAMAS
L’Ansar Beit non è un nuovo gruppo terroristico. È attivo nel Sinai nel 2011. Di certo, ha contatti con Hamas, branca palestinese della Fratellanza Musulmana. Controlla la Striscia di Gaza. Finanzia l’Ansar al-Beit. Secondo l’intelligence occidentale, quest’ultimo sarebbe collegato ad al-Qaeda. Sembrerebbe che sia venuto in possesso di una cospicua quantità di armi ed esplosivi, provenienti dal saccheggio degli arsenali libici. Particolarmente pericolosi sono i missili contraerei, che potrebbero abbattere aerei civili. Anche se il collegamento dell’Ansar Beit con il governo Morsi non è provato, un suo attentato contro i militari egiziani era servito all’allora presidente egiziano per accusare d’inefficienza e per sbarazzarsi del maresciallo Tantawi, predecessore di al-Sisi, come capo delle Forze armate e ministro della difesa. I militari non glielo hanno perdonato! Fino alla caduta di Morsi, l’Ansar Beit era attivo solo nel Sinai, dove aveva più volte sabotato il gasdotto che porta il gas egiziano a Israele. I suoi attentati erano diretti contro lo Stato ebraico e le forze egiziane che presidiano la frontiera con Israele. Dopo la defenestrazione di Morsi, Ansar Beit ha esteso i suoi attentati all’intero territorio egiziano, colpendo le forze armate e quelle di polizia. L’ideologia di Ansar, derivata dal filone principale della tradizione dei Fratelli Musulmani, sta attraendo i membri più radicali della confraternita.

LE ACCUSE AI FRATELLI MUSULMANI
Ciò è stato utilizzato dal governo per accusare la Fratellanza Musulmana di essere un’organizzazione terroristica e di porla fuori legge, circa un mese fa, dopo un sanguinoso attentato alla stazione di polizia di Mansura. Al-Sisi, idolatrato dalla folla per aver salvato l’Egitto dalla deriva islamista, lancia invettive contro il premier turco Erdogan. Quest’ultimo, provocatoriamente, quando parla dell’Egitto alza quattro dita della mano destra, segno usato anche dai sostenitori di Morsi e della Fratellanza. La nuova costituzione vieta partiti che facciano esplicito riferimento ai loro riferimenti religiosi. Questo non ha impedito a gran parte dei salafiti del partito al-Nour di concorrere alla sua redazione e di affermare che la Carta non viola la legge islamica.

L’EVOLUZIONE DELLA SITUAZIONE
Come evolverà la situazione in Egitto fra rivolta, rivoluzione e restaurazione? Dipenderà da due fattori. Primo, dalla situazione economica. Se essa migliorasse, il governonon avrà difficoltà. Secondo, dall’atteggiamento dei Fratelli Musulmani. Essi potrebbero: 1) decidere per un’escalation della violenza; 2) limitarsi alle proteste e alle dimostrazioni di strada; 3) accettare il predominio del “populismo militare”, rinunciare alla lotta politica e rifugiarsi nel religioso e nel sociale, come fecero nel 1970. Nel primo caso, si potrebbe rischiare una guerra civile di tipo siriano, ipotesi improbabile per la saldezza dell’esercito egiziano e per la sua natuta nazionale, non settaria, come quello di al-Assad.

REPRESSIONE CONTINUA?
Nel secondo, continuerà l’attuale repressione. Dopo aver svuotato i simboli di Piazza Tahrir e “uccisa la rivoluzione di tre anni fa”, il regime di al-Sisi continuerà a reprimere uccidere i rivoluzionari. Alla fine avrà la meglio. Nel terzo caso, si avrebbe minor spargimento di sangue. La restaurazione sarebbe più rapida e indolore. Lo “Stato profondo” verrebbe in superficie. Forze Armate e magistratura garantiranno una certa sicurezza. Questa terza ipotesi è resa più probabile dalla decisione del governo provvisorio di far svolgere le elezioni presidenziali prima di quelle legislative.
Taluni – per fortuna, sempre più pochi! – commentatori occidentali, rimpiangono la “rivoluzione tradita” e la scomparsa dalla scena politica dei giovani dimostranti di piazza Tahrir. Sono pieni d’entusiasmo per le proteste sviluppatesi nelle università. Non si sono accorti che il movimento Tamarod, tanto attivo nella destituzione di Morsi, è divenuto – come già lo erano stati i dimostranti di tre anni fa – semplici marionette nelle mani dei militari.

SETTARISMO IMPRODUTTIVO
È difficile prevedere che cosa faranno i Fratelli, i cui principali esponenti sono in carcere. Certamente, continueranno ad affermare l’illegittimità del nuovo corso politico e della cacciata di Morsi. Sono però consapevoli che la paranoia e il settarismo dimostrati quando erano al governo hanno fatto perdere alla Fratellanza gran parte del consenso che aveva nell’immediato dopo-Mubarak. Dalle sue origini, la Fratellanza è stata sempre fautrice della violenza politica, prima contro il dominio britannico poi, con Sayyid al Qutb, successore del suo fondatore Hassan al-Banna, contro in nazionalismo arabo, il panarabismo e l’Occidente. Ha sostenuto il pan-islamismo contro il secolarismo panarabo di Nasser e del partito Baath. Nel 1970 aveva cessato gli attentati. Però, una sua fazione secessionista organizzò l’uccisione del presidente Sadat nel 1982, che aveva firmato la pace di Camp David con Israele.

UN NUOVO MUBARAK?
A parer mio, la seconda eventualità è la più probabile. Al-Sisi diventerà un nuovo Nasser o un nuovo Mubarak. Tale previsione sembra giustificata dalla tendenza dei popoli arabi ad affidarsi a un leader e da quella generale dell’Islam al “maggioritarismo”, cioè alla trasformazione in autoritari dei partiti che hanno vinto le elezioni. Dispiace per gli entusiasti della democratizzazione e della “primavera araba”. Le loro speranze erano irrealistiche. Le rivoluzioni (e le restaurazioni) non si fanno con i social network, ma con i fucili. Meglio, per l’Egitto e anche per la nostra buona coscienza che la Fratellanza Musulmana ritorni a pregare e a dedicarsi alla beneficienza e ai servizi sociali!

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