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Marò, una vicenda figlia dell’improvvisazione. Parla l’ambasciatore Salleo

La Corte suprema dell’India, riunitasi ieri per esaminare il ricorso dell’Italia sui fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ha rinviato l’udienza al 10 febbraio. L’istituzione ha dato al governo una settimana di tempo per chiarire la sua posizione sull’incriminazione e quindi l’eventuale invocazione della legge anti-pirateria contro i due, accusati dell’uccisione di due pescatori indiani al largo del Kerala a febbraio del 2012.
Secondo Ferdinando Salleo – già ambasciatore italiano a Mosca e Washington, ora editorialista di Repubblica – questa situazione poteva essere evitata con minore improvvisazione politica e di relazioni internazionali.
In una conversazione con Formiche.net il diplomatico spiega perché sarebbe inammissibile e giuridicamente pericoloso che vengano processati con l’accusa di terrorismo, e quanto sia opportuno che l’Italia invochi per i marinai il diretto coinvolgimento di Alleanza atlantica e Nazioni Unite.

Ambasciatore, come valuta la gestione politica e diplomatica della questione di Latorre e Girone?
La gestione politica è stata caratterizzata da un misto di commozione umana – giusta, bella, che non deve cessare – e temo da una certa improvvisazione sia nella gestione immediata locale sia nella gestione politica successiva. Oggi si tenta di riprendere le fila di una situazione che si è deteriorata. A mio sommesso avviso non dobbiamo drammatizzare intravvedendo alla fine del percorso di questi nostri poveri e cari fucilieri di Marina chissà quale sciagura, mentre dobbiamo affrontare un problema che deve commuoverci, ma va al di là del loro destino ed è piuttosto un nodo politico. Siamo in grado come struttura multinazionale di Paesi, che hanno un approccio consimile, di fare delle operazioni insieme?

Perché i due marinai si trovavano in quelle acque?
Posso dire è che è giusto che l’Italia abbia accettato di partecipare ad un’azione comune anti-pirateria con altri Paesi. Un’azione navale, non solo perché i pirati appartengono ai romanzi di Emilio Salgari, piuttosto che all’attualità. Anche perché navi nostre e altrui solcano l’Oceano Indiano e possono e di fatto cadono preda di questi cosiddetti pirati, ma soprattutto perché la difesa della libertà dei mari è un dovere delle potenze marittime alle quali apparteniamo per tradizione e anche per il possesso di una flotta commerciale considerevole. Un altro punto che mi sembra discriminante è che poiché è un’azione compiuta sotto l’egida delle Nazioni Unite, poiché è un’azione fatta da parecchi Paesi insieme, è a dir poco sorprendente che non vi sia un collegamento organico-operativo tra le unità che ne fanno parte, anche perché lo spazio entro cui queste unità si muovono non è infinito, ma con i mezzi moderni della navigazione è raggiungibile in tempi non geologici.

Come giudica la presenza di militari su navi commerciali?
Io ignoro quali siano le caratteristiche delle regole d’ingaggio con cui i nostri marinai sono stati messi sulle navi mercantili. Mi risulta per esempio che gli americani usino i contractor – come hanno fatto a torto o a ragione persino in guerra – e che i francesi collochino i loro in condizione di congedo illimitato provvisorio, per cui nelle operazioni non sono più avvolti nella bandiera, anche se organicamente continuano ad appartenere ad una forza armata. Ignoro quali siano i termini delle nostre regole d’ingaggio e se siano state oggetto di appropriata meditazione tra le varie parti del patrio governo e con l’ausilio dei moltissimi giuristi che popolano le nostre università e costituiscano l’impegno contratto con gli armatori.

Ritiene che sia stata utile la missione delle delegazione parlamentare italiana a Nuova Delhi?
Negoziare con gli Indiani è da sempre una cosa molto difficile. E’ una nazione composta da parecchie, grandi civiltà che convivono difficilmente e che non dobbiamo, non possiamo e né ci conviene sottovalutare. Nello stesso tempo dobbiamo essere consapevoli che si tratta di negoziare con controparti estremamente difficili perché infide. La delegazione parlamentare comprende i presidenti delle commissioni esteri e difesa dei due rami del Parlamento e la loro visita avrebbe potuto essere importante per dare all’India un segnale da pare nostra di coesione – e quella c’è – che non è soltanto emotiva e umanitaria, perché il punto che i presidenti di commissione esteri e difesa dei due rami del Parlamento possono e a mio avviso devono sottolineare è che i nostri militari erano impegnati in un’azione anti-pirateria sotto l’egida delle Nazioni Unite e se una cosa è se una cosa è priva di senso è imputarli proprio di pirateria, utilizzando una legge che è completamente fuori luogo. È estremamente sgradevole che i nostri parlamentari non abbiano potuto avere alcuno incontro con i loro colleghi indiani.

Dopo le timide dichiarazioni di Barroso, il semestre italiano di presidenza europea servirà ad accendere definitivamente i riflettori di Bruxelles sul caso dei due militari come ha suggerito l’ex consigliere di Stato Domenico Cacopardo?
Dopo il Trattato di Lisbona, la rotazione della presidenza semestrale ha perduto gran parte della propria importanza, perché il Consiglio europeo è presieduto dal presidente biennale – oggi è il belga Van Rompuy – i Consigli ministeriali, chiamiamoli di settore, agricoltura, trasporti, sono presieduti a turno dal Paese che ha la presidenza, salvo il Consiglio degli esteri che è presieduto dall’Alto rappresentante. Il semestre ha mantenuto una certa aura di autorevolezza, perché dà al Paese che è in carica una qualche possibilità maggiore di iniziativa, ma non è più quello che era, se mai fu. Trovo che non bisogna aspettare il semestre per chiedere la solidarietà piena ed intera dell’Europa.

Quale può essere il ruolo della Nato in questa vicenda?
Gli Stati Uniti sono parte dell’azione anti-pirateria e le loro navi, come quelle di altri Paesi, probabilmente erano nella medesima area, neanche tanto lontane, ed è per questo che mi chiedo come questa solidarietà non sia stata – starei per dire pretesa. Questa sarebbe stata la ragione di fondo per ottenere un arbitrato internazionale. Aggiungo che mi chiedo perché l’Italia non ha per tempo ratificato il protocollo di giurisdizione obbligatoria per la Corte dell’Aia, che l’India ha ratificato se non sbaglio. Noi saremmo stati in grado di invocarlo, chiamando l’India davanti alla Corte internazionale di giustizia. Non so perché, ma un’azione compiuta nell’ambito delle Nazioni Unite, una Corte internazionale strettamente collegata statutariamente alle Nazioni Unite non siano stati posti insieme.

Quali vicende di politica interna indiana e internazionale si intrecciano con la detenzione dei marinai?
Non vorrei che si cadesse in un grave errore politico-diplomatico che sta sempre in vista minacciosamente e che ho visto menzionato in qualche articolo di stampa. E cioè che si pensi, commettendo un errore colossale, di utilizzare come arma di scambio, di pressione o di inducement la questione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dove l’India ritiene di avere diritto ad un seggio permanente e anche l’Italia ha fatto una campagna nello stesso senso. Mancherebbe solo quello per aggravare la nostra posizione politica e che cioè ritirassimo fuori una questione insolubile che viene fuori a scadenze regolari – per fortuna ora era un po’ che non se ne sentiva parlare – e che mai è stata in buona fede portata avanti da qualcuno dei contendenti. E poi l’India avrebbe dovuto essere essa stessa parte attiva dell’azione anti-pirateria. L’India sta dotandosi per esempio di una Marina militare abbastanza importante, ha una tradizione alterna, ma ha una tradizione marittima. Io non so perché non abbia partecipato, ma ho il sospetto che come tanti Stati del cosiddetto Terzo Mondo – anche se per l’India, ormai inclusa nei Brics, questa definizione è un po’ mutata -, non accettano e anzi contestano la Convenzione di Montego Bay sul Diritto del mare che restringe a un limite ben preciso per le acque territoriali in regime di piena sovranità e l’episodio era avvenuto fuori dalle acque territoriali. È una lunga e complicata disputa tra Paesi in via di sviluppo che ritengono di essere stati sfruttati e di esserlo ancora da parte di Paesi a potenza marittima, comunque l’India, un Paese che si ammanta di rigida moralità, avrebbe dovuto essere parte dell’operazione anti-pirateria.

Come crede volgerà al termine la storia dei due fucilieri? Saranno davvero processati secondo il Sua Act come dei terroristi?
Non vorrei che il compromesso si facesse al ribasso, premesso che la pena di morte non credo che abbia alcuna prospettiva di essere applicata e neanche invocata. Non auspico un compromesso in cui prevalga l’aspetto meramente umanitario, i due verrebbero condannati, potrebbero scontare la pena in Italia come da accordo concluso già. Non mi piacerebbe perché riterrei necessario adottare come linea quella che è necessario per ragioni di diritto internazionale e di etica, ammesso che ancora se ne possa parlare, che si riconosca: che la giurisdizione indiana non c’è; che erano in un’azione internazionale anti-terrorismo; perché la pirateria fa parte del fenomeno terrorista anche se non è ispirata da motivi religiosi o da guerre di liberazione o da altre motivazioni ugualmente inaccettabili. Certo, oggi, dopo due anni, non c’è dubbio che la sorte di questi due ragazzi stia a cuore a tutti gli italiani.

L’Italia ha sbagliato a inviare Latorre e Girone in India?
Trovo indecente che possa servirsene in India per fini di politica interna, ma si è visto di peggio. Al punto in cui siamo rimane come opzione solo l’azione diplomatica e politica. Non dobbiamo e non possiamo essere soli, proprio perché è un’azione che fa parte di un’iniziativa generale a tutela della libertà dei mari. Possiamo aver commesso degli errori, ma il fine era quello che condividiamo con gli altri Paesi civili. Ed è sorprendente che un grande Paese come l’India – grande non per la sua economia, dato che il pil dell’India è più o meno quello del Canada e inferiore a quello dell’Italia – ma con le tradizioni culturali che in parte condividiamo, possa ridursi a un comportamento che ripeto non è all’altezza di una nazione che vuole giustamente il rispetto degli altri.

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