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I dubbi politici e diplomatici sul rilascio del sergente Bergdahl

La storia del rilascio del sergente americano Bowe Bergdahl ha rapidamente fatto il giro del mondo: il militare era l’unico prigioniero di guerra statunitense in Afghanistan, detenuto dal 2009. Lo stesso Obama ha dato la notizia, prima personalmente ai famigliari – apparsi sulle prime pagine dei giornali internazionali per il ringraziamento strappalacrime all’Amministrazione  – e successivamente alla stampa.

Ma neanche il tempo di godersi gli allori per il ritorno in patria del commilitone, che sul Commander in Chief sono piovute una serie di critiche. Il problema ovviamente non la liberazione in sé, ma alcune (effettivamente discutibili) circostanze a latere. A cominciare dal coinvolgimento nei negoziati del Qatar – paese spesso accusato per essere la cassaforte della Fratellanza Musulmana e di avere legami con organizzazioni del mondo salafita combattente (anche in Siria). Il Qatar nella situazione-Afghanistan ha un ruolo pregresso quale mediatore per una più ampia trattativa di pace, che magari potrebbe ora riprendere. Esattamente, ancora, quali siano stati i passaggi pratici giocati dai qatarioti nel rilascio del prigioniero non è chiaro – dunque meglio lasciare da parte ulteriori speculazioni e attenersi ai fatti (quando ci saranno più certezze se ne riparlerà). Quello che è sicuro, è che per il momento il paese dell’emiro al-Thani, si è fato garante per il fermo nel proprio territorio dei cinque uomini rilasciati dagli Stati Uniti come contropartita per Bergdahl.

E qui si apre l’altro grande capitolo di polemiche: già, perché come ormai noto – e assodato – Washington ha dovuto pagare una sorta di riscatto, rilasciando cinque talebani detenuti a Guantanamo per riavere il proprio soldato (qui per sapere chi sono questi uomini rilasciati).

Il deputato John McCain, conservatore che è sempre in prima linea nell’attaccare Obama su casi del genere, ha subito chiosato ricordando che quegli uomini rilasciati sarebbero elementi ad alto rischio, innescando la sequela di polemiche a cui nessuno dei repubblicani si è tirato indietro – ma, a quanto pare anche qualche democrat avrebbe storto il naso.

Il problema è la creazione del precedente, del negoziato con i terroristi, red line (violata?) posta più o meno da tutti dopo la guerra innescata post-11 settembre.

Obama ha fatto sapere attraverso il consigliere sulla Sicurezza nazionale Susan Rice, che l’aggravarsi delle condizioni di salute del sergente (che si trova adesso a Landstuhl, Kaiserslautern, in Germania, e non pare in pessime condizioni), hanno reso necessario di stringere i tempi, ad ogni costo. E anche il capo del Pentagono Chuck Hagel, che è stato in queste ore in visita a sorpresa proprio alla base di Bagram, ha respinto le critiche, ricordando la necessità di salvare il soldato e che per riportarlo non è stato sparato nemmeno un colpo.

Ma c’è di più: perché la polemica non riguarda soltanto gli Stati Uniti. A Kabul sarebbero piuttosto indispettiti per aver ricevuto la notizia della liberazione – e dello scambio – solo a cose fatte. Inoltre, ricordano che la permanenza in Qatar dei cinque talebani liberati dagli americani, è una violazione del diritto internazionale.

Non una bella situazione, in un momento in cui dal ballottaggio tra Abdullah e Ghani (previsto per metà giugno) dovrà uscire il successore di Karzai e soprattutto l’uomo che dovrà firmare l’accordo bilaterale sulla sicurezza – che Karzai aveva rifiutato di sostenere, e che invece entrambi i contendenti alla presidenza rimasti su piazza si sono ufficialmente impegnati a risolvere, almeno prima della vicenda-Bergdahl.

Il governo afghano ha già inviato una lettera formale di protesta per la gestione della storia, che alcune fonti BBC hanno definito “furiosa”.

Nonostante l’arrabbiatura di Kabul, e nonostante che il Mullah Omar abbia sostenuto in una delle rare dichiarazioni che il ritorno in patria dei compagni era una grande vittoria per i talebani, l’High Peace Council afghano (che sta da tempo lavorando per mediare con i militanti), si è detto abbastanza fiducioso che la vicenda possa essere un passo avanti verso una nuova apertura.

Tuttavia non ci sono state ulteriori imput da parte dei talebani che hanno rilasciato Bergdahl, e l’intelligence di Kabul considera i prigionieri liberati ancora pericolosi e potenzialmente operativi.

@danemblog 

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