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Il centrodestra riparta dalle regionali (senza guerreggiare con la magistratura)

L’analisi di Lodovico Festa conferisce alcuni spunti di riflessioni interessanti nel dibattito volto a ricostruire un’offerta politica di centrodestra. In particolare, pare molto suggestiva e allo stesso tempo concreta l’idea di affiancare progetti “civici” ai partiti nell’ottica di rafforzare l’unità perduta di questa area politica.

Festa, inoltre, ha ragione quando sostiene che la ricomposizione va anteposta ai movimentismi e alle questione ideologiche, non a caso l’appello di www.contrattoperilcentrodestra.it individua come primo punto fondamentale proprio la necessità di trovare l’unità a partire da idee macroscopiche, non ideologiche, e capaci di raccogliere quanto più consenso possibile. Tuttavia, in una situazione così impacciata per il centrodestra italiano non è possibile prescindere da una scossa movimentista, cioè giovane, fresca, capace di sfidare l’attuale classe dirigente.

Proprio perché non esiste un partito unico né meccanismi competitivi non è possibile aspettare ancora invano le volontà kafkiane di leader chiusi nel proprio castello, né delle loro appendici (fisiche o intellettuali) che da anni sono educate a mo’ di bravi del Don Rodrigo manzoniano a far sempre sì col capo perché da questo dipende la possibilità di mangiare la minestra.

Nessuno farà uscire da quei castelli leader consumati né qualche guardaspalle sarà in grado di espugnare la fortezza e aprirne le porte. Se dovrà esserci una ricostruzione non potrà che essere dall’esterno, appunto, facendo ricorso ad una buona dose di trasversalità, comunità, innovazione e civismo.

Pur concordando, e non si può fare altrimenti, con l’analisi storica e le considerazioni sulla crisi istituzionale italiana di Festa (che tante volte insieme abbiamo affrontato su www.lacosablu.it) ritengo difficile spiegare alla gran parte dell’opinione pubblica italiana, alle prese con la più grande crisi economica dell’ultimo secolo, che il programma di un centrodestra unito e aperto al rinnovamento possa centrarsi sul disarmo della magistratura.

Pur se questo tema è di primaria importanza per il governo del Paese, insieme al semipresidenzialismo e al federalismo, non credo possa essere la chiave di volta per riabilitare il centrodestra agli occhi dell’elettorato. Dieci anni di governo Berlusconi basato sul folle e anormale scontro tra politica e magistratura senza aver nemmeno provato a scardinare il sistema giudiziario italiano sono un macigno enorme che pesa sulle spalle del centrodestra.

Ritengo invece importante provare a fare questo ragionamento: priorità alle libertà economiche, riduzione del carico fiscale, flessibilizzazione, riforma degli ammortizzatori sociali, privatizzazioni e liberalizzazioni, politiche per la famiglia e regolazione del problema immigrazione.

A queste si dovranno certamente aggiungere le tematiche menzionate che, però, più che cavalli di battaglia per svegliare il centrodestra paiono punti da inserire in un piano di governo nel momento in cui a competere con il centrosinistra vi sarà una classe dirigente di rinnovata credibilità. Tutto questo sforzo, inoltre, risulterebbe inutile senza una effervescenza positiva che sappia fornire un racconto brillante al centrodestra di oggi e, soprattutto, di domani. Perciò attenzione che i gattini non nascano ciechi, ma attenzione che seppur vedenti rischino poi di non essere in grado di camminare e correre.

Per quanto riguarda i movimenti tematici che possano poi aderire a un progetto più ampio che ben vengano. Un’organizzazione d’area leggera, eterogenea, arricchita da movimenti single-issue, con regole competitive, e simile a un comitato elettorale organizzato è un’evoluzione che si aspetta da troppo tempo. L’impressione è che però, salvo nobili eccezioni come il Tea Party Italia, a queste operazioni non abbiano creduto poi molto nemmeno coloro che le teorizzavano o provavano a realizzarle. Fino ad oggi, è il realismo che lo impone, queste soluzioni non hanno funzionato perché necessitano, prima di tutto, di un fermento culturale e finanziamenti che partano da fuori il perimetro della politica partitica. Chissà che con l’abolizione del finanziamento pubblico, le modifiche all’x per mille e la diffusione della rete non sia la volta buona.

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