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Cara Orlandi (Agenzia delle Entrate), scherza coi fanti ma lascia stare i santi

La dr.ssa Rossella Orlandi, esperta di fisco, dimostra con la sua incauta dichiarazione una completa ignoranza del pensiero cattolico sul valore del denaro e sulle responsabilità morali collegate alla ricchezza e, soprattutto, sul concetto di pentimento e perdono cristiano da Lei con troppa sicumera  sbeffeggiato.

Max Weber teorizzò con il suo celebre: “ Etica protestante e spirito del capitalismo” il suo ideal typus che collegava, appunto, la nascita e lo sviluppo capitalistico all’etica del protestantesimo con la sua teoria della predestinazione, di cui la ricchezza terrena avrebbe dovuto rappresentarne la prefigurazione.

Werner Sombart, il grande storico tedesco, faceva, invece, risalire lo spirito del capitalismo all’etica ebraica con il suo celebre “ Gli ebrei e la vita economica”.

Amintore Fanfani, con il suo  trattato di storia economica, molto più concretamente collegava la nascita del capitalismo con le figure dei primi mercanti imprenditori dell’antica Firenze.

Uno dei suoi allievi più importanti, il prof Gino Barbieri, a Trento ci fece studiare decine di saggi da Sant’Antonino da Firenze, a Santa Caterina da Siena, a Bernardino da Feltre (nato  Francesco Tomitano, “el trombeta de Dio”, l’inventore dei monti di pietà) con i loro j’accuse contro i fenomeni dell’usura e delle ricchezze derivanti non dalle attività operative dell’economia reale, ma dai frutti malefici e incontrollati delle manovre finanziarie e dei prestiti monetari.

“Chi non lavora non mangi” e “date a Cesare quel che è di Cesare” : sono questi i grandi insegnamenti cristiani ai quali noi cattolici, formati ai principi e all’etica della dottrina sociale della Chiesa, ispiriamo, o almeno ci sforziamo di ispirare la nostra condotta.

Ci furono già alcuni temerari analisti che, al tempo delle Brigate Rosse, cercarono di far risalire l’ideologia della violenza a un’errata lettura della fede cristiana. Si sa come finì quella storia e su quali altri referenti culturali e album di famiglia quegli avvenimenti derivavano.

E’ vero, in uno Stato che, con molta difficoltà si è costituito e, mai come adesso, sta mostrando tutti i suoi limiti e la sua pericolosa fragilità, e con una pressione fiscale che supera largamente il 50% delle entrate familiari e aziendali, è difficile sottrarsi al peccato dell’evasione fiscale.

Siamo, dunque, quasi a una condizione di semi schiavitù se si deve lavorare sei mesi per lo Stato per potersi gestire i risultati del proprio lavoro, quando lo si ha, dei rimanenti sei.

Jean Baptiste Colbert, il grande ministro delle finanze dell’ancien régime, sosteneva che:

“L’arte della tassazione consiste nello spennare l’oca in modo da ottenere il massimo delle penne con il minimo di proteste”. Era in bella forma ciò che nel ferrarese si traduce nel popolaresco: “pela la gaza senza farla zigar” ( “togli le penne alla gazza senza farla piangere”).

Come vede gentile signora Orlandi, non si tratta di una correlazione tra un ipotetico ideal typus cattolico (l’idea che dopo il peccato ci sarà l’assoluzione, come Lei con molta disinvoltura sembra tradurre, con somma ignoranza, il concetto del pentimento cristiano), semmai di una condizione oggettiva che, tra la complessità e farraginosità delle norme, permetta a molti grandi evasori di farla franca, e a molti piccoli di condannarsi alla miseria e in alcuni casi drammatici anche al suicidio.

Insomma gentile signora, neo nominata a capo dell’Agenzia delle Entrate: scherza coi fanti ma lasci stare i santi e, intanto, rileggendo il celebre epitaffio di Pericle ricordiamoci tutti, cattolici o non cattolici, credenti o non credenti italiani quanto il grande ateniese pronunciò, nella testimonianza riportata da Tucidide nella sua “Guerra del Peloponneso”: “Noi che serenamente trattiamo i nostri affari privati, quando si tratta degli interessi pubblici abbiamo un’incredibile paura di scendere nell’illegalità: siamo obbedienti a quanti si succedono al governo, ossequienti alle leggi e tra esse in modo speciale a quelle che sono a tutela di chi subisce ingiustizia e a quelle che, pur non trovandosi scritte in alcuna tavola, portano per universale consenso il disonore a chi non le rispetta”.

Dovrebbe essere un ammonimento presente nel cuore di ciascuno di noi, singoli cittadini e/o reggitori dello Stato e delle sue istituzioni.

E con questo spirito che Le auguro: buon lavoro al servizio dell’Italia e degli italiani!

Ettore Bonalberti

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