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Draghi ha sempre ragione?

Quando arriverà il prossimo scappellotto di Mario Draghi a Matteo Renzi? Con questo interrogativo terminava un articolo di Formiche.net di qualche giorno fa. L’ennesimo scappellotto – anzi, per la precisione, il quarto – è arrivato venerdì scorso, quando il presidente della Bce è tornato a incalzare sulle riforme il governo italiano per riavviare la crescita e ha ammonito che per svegliare i governi e le istituzioni indolenti serviranno altre cessioni di sovranità a favore di Bruxelles.

Uno scapaccione non proprio indolore, anche se il premier ha fatto buon viso a cattivo gioco: si è detto diplomaticamente d’accordo con Draghi sulle riforme ma si è mostrato perplesso su ulteriori cessioni di sovranità. Scapaccione numero quattro, come si diceva. Gli altri hanno avuto meno eco, eppure sono stati assestati con vigore. Il primo è giunto da Francoforte sotto forma di altolà a Roma in materia di tetti agli stipendi dei vertici della Banca d’Italia: il limite di 240mila euro viola l’autonomia della Banca centrale nazionale, ha certificato l’Istituto presieduto da Draghi.

Una seconda sberla era arrivata in maniera più sibillina: mentre il premier parlava e invocava anche in pubblico l’esigenza di maggiore flessibilità nelle regole europee sulla finanza pubblica – parole e richieste che hanno avuto esito nullo -, il presidente della Bce evocava e consigliava il rispetto delle regole, anzi un rafforzamento della governance europea e degli accordi. Ossia il contrario degli auspici di Renzi.

Il terzo scappellotto si rintracciava nell’analisi di giorni fa di Federico Fubini su Repubblica: “La Bce può togliere di nuovo l’Italia e l’Europa dai guai solo se prima o poi farà ciò che hanno già fatto la Federal Reserve, la Banca d’Inghilterra e quella del Giappone: creare moneta per comprare sui mercati almeno mille miliardi di titoli di Stato, di cui quasi 200 italiani”. Ma questa svolta non è affatto vicina, secondo Fubini: “Draghi e Merkel non hanno lo spazio politico necessario per neutralizzare il veto della Bundesbank come due anni fa, e il governo Renzi non li sta aiutando. Ogni duello mediatico di giornata con Berlino, Bruxelles o Francoforte sulle regole di bilancio, ogni incertezza nelle misure per la crescita, non fa che alimentare in Germania la diffidenza verso l’Italia”.

Romanziamo troppo dichiarazioni e umori di Francoforte? Allora affidiamoci ad Adriana Cerretelli, giornalista esperta di questioni europee per il Sole 24 Ore, secondo cui quello che abbiamo definito come il quarto scappellotto a Renzi è stato il terzo avvertimento indirizzato all’Italia. Il primo, per attuare una “precisa serie di riforme”, è arrivato a Roma nell’estate del 2011 in una lettera a firma Draghi e Jean-Claude Trichet. Un secondo, indiretto, avvertimento all’Italia – secondo Cerretelli – è giunto l’anno successivo quando Draghi ormai a Francoforte aveva fermato la tempesta sui mercati finanziari comunicando agli stessi che la Bce avrebbe preso “tutte le misure necessarie” a garantire la tenuta dell’euro, ma i governi avrebbero dovuto fare la loro parte risanando i conti pubblici e realizzando le riforme strutturali. Eppure ai vertici del Pdl, solo dopo poche settimane dalla lettera del 2011 di Draghi e Trichet, si garantiva che le richieste della missiva erano state di fatto soddisfatte (ricordo personale: impaginai sul Foglio un lungo intervento di Renato Brunetta che dimostrava a suo dire come il “programma” di Draghi e Trichet era stato approvato o implementato dal governo Berlusconi).

Insomma, chiamiamoli scappellotti o avvertimenti, la sostanza non cambia. La Bce è insoddisfatta dell’azione dell’Italia e torna a chiedere riforme-riforme-riforme. Ma quali riforme, di grazia? Un editorialista dalla vista lunga e dalla solida competenza come Lodovico Festa su Formiche.net le ha così riassunte: una rapida legge sul lavoro, una efficiente giustizia civile e una semplificazione della burocrazia.

Ma perdinci: non sono bastate quelle che Brunetta assicurava già nel 2011 che l’esecutivo Berlusconi aveva già attuato o avviato? E non sono state sufficienti quelle super tecniche e iper germaniche del governo Mario Monti lodato e festeggiato a Berlino e Francoforte? La riforma Fornero delle pensioni vogliamo dimenticarla? E i decreti montiani Cresci Italia e Libera Italia con tanto di stime incorporate sui mirabolanti effetti sul Pil? E i buoni propositi e i piccoli interventi del governo di larga coalizione di Enrico Letta? Solo fuffa, come diceva il Rottamatore solo per far sloggiare da Palazzo Chigi il compagno di partito?

Bene, Mago Matteo arriva a Palazzo Chigi fra il tripudio planetario e l’Italia si becca 4 scapaccioni da Francoforte e si ritrova il muro di gomma di Bruxelles?
Ok, d’accordo, il ragionamento è semplicistico. Non tiene conto del fatto che i molti provvedimenti approvati non hanno avuto i decreti attuativi, che la burocrazia sonnecchia o intralcia, che ci sono resistenze corporative a liberalizzazioni e aperture al mercato e alla concorrenza.

Ma possibile che i Signori di Bruxelles, di Francoforte e di Berlino non facciano un po’ di mea culpa vista l’economia stagnante, la disoccupazione che si incancrenisce, i consumi che ristagnano e gli investimenti che languono?

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