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La Libia ci riprova con un nuovo governo

Adesso è ufficiale: come anticipato da Formiche.net, dopo le dimissioni date giovedì scorso, il premier libico Abdullah al-Thinni è stato incaricato dal Parlamento di formare un nuovo esecutivo ristretto.

Secondo quanto reso noto dall’agenzia ufficiale del Paese, la Lana, i deputati – riunitisi a Tobruk, nell’ est del Paese, dati i problemi di sicurezza a Tripoli – hanno approvato a maggioranza la nuova nomina del premier uscente, che dovrà formare un governo con 18 portafogli contro la trentina di ministri di quello uscente.

IL CAOS CONTINUA

La situazione rimane caldissima. Le autorità libiche di fatto non hanno ormai alcun reale controllo sul Paese, che è nelle mani delle milizie. È di ieri la notizia, data dall’emittente saudita Al Arabiya, dell’irruzione da parte di gruppi di miliziani islamici di Alba Libica, nella sede, lasciata vuota, dell’ambasciata americana a Tripoli. Ma sono anche le istituzioni (o almeno quel che ne rimane) ad essere spaccate.

UN PAESE DIVISO

Il vecchio Congresso libico riunito a Tripoli ha designato Omar al-Hasi nuovo premier. Ciò assume i contorni di una vera e propria “secessione” dal Parlamento eletto a giugno, che si riunisce invece a Tobruk. Il Paese pare ormai diviso in tre parti. Tripoli è sotto il controllo dei filo-islamici di Misurata, Bengasi del “Califfato” di Ansar al Sharia, mentre Tobruk è il luogo d’esilio del Parlamento eletto due mesi fa.

IL GRIDO DI TRIPOLI

La Libia chiede da tempo un intervento dell’Onu per “completare la sua missione nel Paese e aiutare a ristabilire la legge e l’ordine”, in applicazione del capitolo VII della carta delle Nazioni Unite. Un pensiero già espresso nel vertice dei Paesi confinanti al Cairo e che ha spinto il Palazzo di Vetro, finora riluttante a intervenire per stessa ammissione dell’inviato nel Paese Bernardino León, a prendere un qualche tipo di iniziativa a seguito di un Consiglio di Sicurezza tenutosi mercoledì scorso.

Nell’occasione, con una risoluzione adottata all’unanimità, il Consiglio di sicurezza ha ampliato il regime di sanzioni internazionali in vigore nei confronti di Tripoli – principalmente contro i sostenitori del regime di Muammar Gheddafi – per includervi le milizie in lotta nel Paese.

Le misure prevedono delle sanzioni contro persone o gruppi che “commettano o aiutino a commettere degli atti che mettano a rischio la pace, la stabilità o la sicurezza in Libia, o che ostacolino la riuscita della transizione politica” nel Paese.

Mentre le sanzioni comprendono un embargo sulle armi (proposto su queste colonne dal presidente della commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre) e un congelamento dei beni: quali gruppi armati ne saranno effettivamente oggetto sarà deciso da un comitato ad hoc dipendente dallo stesso Consiglio.

Un primo passo, rispetto all’immobilismo dei mesi passati, ma ancora poco per poter pacificare il Paese.

IL RUOLO DELL’ITALIA

Per farlo occorrerebbe un intervento drastico, massiccio e coordinato, soprattutto da parte dei player più importanti nell’area mediterranea. Per questo l’appello della Libia chiama sì in causa la comunità internazionale, ma chiede altrettanto in modo specifico il sostegno di Roma in questa difficile fase di transizione.
In un’intervista ad Aki-Adnkronos International, l’ambasciatore libico al Cairo, Mohamed Jibril, dice di aspettarsi dall’Italia, partner privilegiato della Libia, una “mediazione” tra le varie forze che contribuiscono alla continua escalation della crisi in corso nel suo Paese. “L’Italia – spiega il diplomatico – sostenga le nostre istituzioni, ci aiuti a consegnare loro pieni poteri e soprattutto spinga gli altri Stati a darci il loro sostegno, a mettere il nostro Paese in condizione di controllare il suo territorio, le sue infrastrutture, i suoi aeroporti, il suo petrolio e le sedi delle sue istituzioni”.
Riferendosi alle emergenze specifiche: “I più gravi problemi con cui ci confrontiamo, dal terrorismo, ai flussi di migranti irregolari, ai traffici di ogni tipo – chiarisce l’ ambasciatore – sono legati al fatto che l’Africa vive situazioni complicate di instabilità e povertà. Bisogna che gli Stati e le organizzazioni internazionali si occupino di questi problemi“. Parole rivolte proprio all’Italia, che è la prima destinataria dei flussi di immigrati irregolari partiti dalla Libia.

E per molti analisti, come Mattia Toaldo e Karim Mezran intervenuti anche su Formiche.net, spetta ora a Roma (e all’Europa, di cui l’Italia rappresenta una parte di confine) cogliere il messaggio.

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