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Chi e come può contrastare l’egemonia tedesca in Europa. Parla Gennaro Sangiuliano

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Costruire un’Europa delle patrie e delle nazioni nella comune matrice di valori storici e culturali. Alternativa a un “super Stato” che grazie al potere della finanza ha favorito il predominio assoluto della Germania. È il cuore del libro “Il Quarto Reich. Come la Germania ha sottomesso l’Europa”, scritto da Vittorio Feltri e Gennaro Sangiuliano dal 9 settembre nelle librerie.

Per comprenderne la genesi e le ragioni Formiche.net ha sentito Gennaro Sangiuliano, vice-direttore del Tg1 e firma del Giornale e di Libero. Osservatore delle tendenze della cultura conservatrice come rivela la biografia di Giuseppe Prezzolini, il giornalista coltiva un giudizio fortemente critico verso l’architettura comunitaria e l’atteggiamento “euro-entusiasta”.

Perché avete scelto un titolo così forte?

Il titolo non è nostro. L’espressione “Quarto Reich” è entrata nel lessico giornalistico internazionale nell’autunno 2013, quando fu adoperata per la prima volta dall’editorialista del Washington Post Anne Applebaum nell’articolo “Angela Merkel, l’imperatrice d’Europa”. Tengo in ogni caso a precisare che non abbiamo scritto un libro contro Merkel, personalità di valore che persegue gli interessi nazionali in modo magistrale.

Ma è plausibile parlare di “Quarto Reich”?

Nel corso del Novecento la Germania ha tentato di realizzare la propria egemonia attraverso due guerre mondiali sanguinose e tragiche. Tale progetto, fallito per via militare, è stato realizzato con mezzi economici. L’euro è stato il panzer odierno di Berlino. E mi fa piacere vedere che si siamo in buona compagnia. L’economista Martin Wolf ha scritto sul Financial Times che la valuta unica è stata una follia e un’idiozia.

Le nuove autorità dell’Unione Europea potrebbero porre fine all’egemonia tedesca?

È proprio l’odierna Ue la sovrastruttura attraverso cui la Germania riesce a esercitare il predominio continentale. Il nuovo responsabile della Commissione Ue Jean-Claude Juncker è notoriamente un esecutore degli ordini di Angela Merkel. E, caso singolare sfuggito a gran parte degli analisti, ha scelto un capo di gabinetto tedesco. Lo stesso neo-Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk è molto vicino alla Cancelliera. E vi è un ulteriore elemento rilevante.

Quale?

Nel passato vi erano leadership francesi forti in grado di bilanciare la tendenza storica della Germania all’egemonia. Penso a Charles De Gaulle, che non avrebbe mai ratificato i Trattati di Roma, e a Francois Mitterrand. Adesso la Francia registra una “vacatio di leadership”, vista la parabola di Francois Hollande.

L’Ue è irriformabile come l’Unione Sovietica di Mikhail Gorbachev?

È riformabile. Ma nel senso dell’Europa delle patrie evocata da De Gaulle. Una realtà fondata sulla collaborazione fra Stati nazionali che mantengono la propria sovranità. Nella quale si esalta e sottolinea la comune matrice culturale che risale a Carlo Magno, al Sacro Romano Impero, al diritto romano. Non un super-Stato, né l’Europa attuale delle banche e della finanza. Il problema è ridefinire l’Ue in termini giuridico-culturali.

La BCE di Mario Draghi può costituire un’alternativa all’Europa dall’austerità a trazione germanica?

Penso che Draghi stia lavorando molto bene, rivelando grande coraggio. Ma la recente telefonata con Merkel ha rappresentato un atto di ingerenza nell’autonomia del presidente della Banca centrale europea. Ricordo peraltro che Berlino è contraria all’adozione degli Eurobond e all’acquisto di titoli del debito pubblico degli Stati membri per una gestione condivisa. Mentre è stata l’Ue a finanziare la grande riunificazione tedesca che né Margaret Thatcher né Giulio Andreotti auspicavano.

Cosa può fare l’Italia di Matteo Renzi per far cambiare rotta all’Unione Europea?

Il nostro Paese dovrebbe promuovere la creazione di un’Europa mediterranea e del Sud così come la Germania guida l’Europa del Nord e i suoi interessi. Un club di paesi privilegiati formato da Austria, Olanda, Danimarca, Finlandia, Lussemburgo, nazioni baltiche, Repubblica Ceca, Slovacchia e in parte la Polonia. Tutte realtà che gravitano nell’area di influenza germanica.

Il governo di Roma ha lo spazio per un’iniziativa così ambiziosa?

L’Italia fino a oggi ha versato 53 miliardi di euro per l’adozione dei due Fondi salva-Stati nell’Euro-zona. Risorse che hanno contribuito a salvare le banche tedesche creditrici verso la Grecia e gli istituti creditizi spagnoli. Perciò ha tutti i requisiti per guidare l’Ue del Mediterraneo. Tanto più rispetto a una Germania che nel biennio 2003-2004, mentre realizzava le riforme strutturali con il governo di Gerhard Schroeder, sforò i vincoli del Patto di stabilità senza conseguenze.

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