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Chi sostiene (e chi no) la coalizione di Obama anti-Isis. La mappa completa

Dopo la chiamata del presidente americano Barack Obama, sono oltre 40 i Paesi che a seguito del vertice di Parigi hanno deciso di unirsi alla coalizione per tentare di porre fine al terrore dello Stato Islamico.

Tra questi è possibile ritrovare alleati di sempre, sostenitori per convenienza e persino qualcuno disposto a cambiare idea. Non manca nemmeno chi, pur favorevole a colpire i jihadisti, preferisce non aderire al gruppo per calcoli interni o per una precisa strategia.

UK E FRANCIA

A schierarsi quasi immediatamente con la Casa Bianca è stata Londra, che ha messo da parte ogni riserva dopo la decapitazione del cooperante scozzese David Haines. Quello del Regno Unito non è solo un sostegno morale. Il governo del conservatore David Cameron ha detto che appoggerà l’iniziativa degli Usa con aerei Tornado e velivoli per la sorveglianza utili a recuperare informazioni di intelligence. In prima linea anche la Francia, che come annunciato dal presidente François Hollande, ha già messo in azione i suoi caccia in Irak, unendosi ai raid dei caccia Usa (circa 170 dal mese scorso).

ITALIA

Anche l’Italia sostiene l’azione americana, ma per il momento preferisce farlo dalle retrovie. La titolare della Farnesina Federica Mogherini ha escluso bombardamenti da parte della Penisola, annunciando invece l’arrivo di altri C-130 che trasportano aiuti militari nel territorio di Baghdad. Alla fine del mese i voli saranno 18.

GLI ALTRI PAESI

A frenare altri Paesi (compresa Roma) da un intervento diretto è in primo luogo la mancanza di legittimità internazionale dell’intera operazione, soprattutto per i raid in Siria, dovuta al fatto che Obama non intende passare per ora dalle “forche caudine” del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Una situazione che il presidente Usa sta cercando di aggirare proprio intercettando il maggior numero di adesioni possibili, ma senza risolvere il problema di fondo.

Il piano del capo di Stato americano gode comunque di un ampio consenso internazionale: tra gli altri, con Washington ci sono Polonia, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Germania (che ha detto no a un sostegno attivo), Olanda, Libano, Oman, Giordania, Egitto, Bahrein, Kuwait, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Norvegia, Spagna, Giappone e Cina. Tra le organizzazioni: Lega Araba, Unione europea e Nazioni Unite.

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(credits: Ansa / Centimetri Mnb)

RUSSIA

Anche la Russia ha aderito a suo modo al fronte anti-Isis, ma non ha perso occasione per marcare la propria diversità di vedute, nella quale spicca il sostegno al regime di Bashar al-Assad. Mosca, intervenuta a Parigi con il ministro degli esteri Sergei Lavrov, ha stabilito infatti come priorità il rafforzamento dei governi di Irak e Siria, garantendo che “le autorità” dei due Paesi “siano in grado di combattere i terroristi per assicurare la sicurezza dello Stato“.

IRAN

Interlocutoria la posizione di Tehran che non chiude a un sostegno alla coalizione, ma ne fissa il prezzo. L’Iran sciita, secondo quanto svela Reuters, citando le dichiarazioni di alti funzionari della Repubblica islamica, è pronto a collaborare con gli Stati Uniti ed i suoi alleati per fermare i militanti sunniti dell’Is, ma vorrebbe in cambio più flessibilità sul programma iraniano di arricchimento dell’uranio sul quale è da tempo in corso un complesso negoziato.

TURCHIA

In bilico la posizione della Turchia. Ankara aveva in un primo momento dichiarato la propria indisponibilità a partecipare alla coalizione, soprattutto a causa del sostegno occidentale ai peshmerga curdi. La situazione potrebbe tuttavia cambiare dopo la liberazione dei 46 ostaggi turchi sequestrati lo scorso giugno dall’IS a Mosul. Non è ancora chiaro se sia stato pagato un riscatto o se la liberazione sia una sorta di “ringraziamento” dei jihadisti al governo turco per non essersi unito al fronte americano. Ad ogni modo potrebbe essersi aperto uno spiraglio per la fornitura delle basi di Ankara a ridosso della Siria.

ARABIA SAUDITA, UAE, QATAR E BAHREIN

Anche se accusati di aver foraggiato lo stesso gruppo che ora dicono di voler combattere, il ruolo dei Paesi del Golfo nel contrasto a Da’ish (l’acronimo arabo dell’Isis) resta strategico per il dispiegamento della forza navale e aerea della coalizione. In Qatar c’è la sede avanzata del Centcom, lo US Central Command il cui quartier generale è a Tampa, in Florida. E sempre nel territorio di Doha, nella base di Al Udeid, si trova anche il Comando avanzato della componente aerea del Centcom, il cui Comando permanente è nella base di Shaw, in Sud Carolina. Altro Stato importante sono gli Emirati Arabi Uniti. La base aerea di Al Dhafra utilizzata da americani, francesi e a volte dai britannici. Per ciò che concerne il dispositivo navale, a Manama, in Bahrein, sono situati il Comando della componente navale di Centcom e la Quinta flotta della US Navy. Centrale, anche se ancora ambigua, la posizione dell’Arabia Saudita, preoccupata per l’avanzata dello Stato Islamico, ma ancora riluttante a intervenire concretamente. Da Riyadh, principale Paese a maggioranza sunnita, passa infatti ogni possibilità di porre fine ai secolari contrasti con il mondo sciita, guidato dall’Iran. Un accordo del genere decreterebbe per molti esperti la fine delle tensioni e di un’interpretazione distorta del Corano che è alla base dell’estremismo islamico di gruppi terroristi come l’Islamic State.

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