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Napolitano e l’articolo 18, i fatti dopo le parole

E’ indubbio l’aiuto di Giorgio Napolitano a Matteo Renzi, nello scontro con la Cgil, sulla riforma del mercato del lavoro, compresa la disciplina dei licenziamenti contenuta nell’articolo 18 del vecchio Statuto dei diritti dei lavoratori. Che peraltro nel 1970 fu approvato con l’astensione, non con il voto favorevole, dell’allora Partito comunista, i cui eredi nel Pd ora ne difendono anche i contenuti più controversi, come se fossero stati loro a volerli e imporli alla stregua di una conquista irreversibile.

Quelle “politiche nuove e coraggiose per l’occupazione” sollecitate dal presidente della Repubblica e accompagnate con la condanna di “conservatorismi, corporativismi e ingiustizie”, sono giustamente arrivate alle orecchie e agli occhi del presidente del Consiglio, in trasferta americana, come un incoraggiamento sulla strada di un cambiamento, che egli si è infatti affrettato a ripromettere in modo anche “violento”. Non c’è dubbio che per “fare andare avanti tutti” occorra “fare arrabbiare qualcuno”, soprattutto nello stesso partito di Renzi, dove il solito vecchiume è in agitazione per fermarlo.

Detto tutto questo, riconosciuto a Napolitano e a Renzi ciò che è dovuto all’uno e all’altro, è ora auspicabile che non si ripeta lo spettacolo visto all’epoca del governo tecnico di Mario Monti, quando lo stesso Monti e la sua ministra del Lavoro Elsa Fornero misero in cantiere la riforma dell’articolo 18. Anche allora il presidente della Repubblica si schierò a favore del governo, sino a scontrarsi, in un ricevimento al Quirinale, con l’insofferente segretaria generale della Cgil Susanna Camusso. Che non gli perdonava di essersi pronunciato pochi giorni prima a favore del cambiamento, anche allora contro i conservatorismi di turno.

Ma quando il Pd guidato da Pierluigi Bersani sposò le resistenze della Cgil, e reclamò un ridimensionamento della riforma, tradottosi poi in un aumento della discrezionalità dei magistrati nelle vertenze sui licenziamenti, il governo e la Fornero si trovarono sguarniti. Il Quirinale dietro le quinte incoraggiò di nuovo il governo, ma a cedere. E si produsse la situazione nella quale è maturata adesso la necessità di riaprire il capitolo e mettere mano nell’articolo 18 in maniera finalmente più incisiva.

Ghino di Tacco ha appena riferito ironicamente su Formiche.net sul compiacimento di Margaret Thachter, in piedi sulle nuvole, per il coraggioso “Mattew”, appena paragonato quaggiù a lei dalla Camusso in modo spregiativo. Ma ha riferito anche sul timore di Margaret di vedere alla fine Renzi trattenuto da “king George”, come ai tempi, appunto, della Fornero. Che peraltro nel frattempo si è curiosamente schierata contro il proposito del governo di intervenire sul pasticcio da lei subìto quand’era al governo. Margaret sarà rimasta soddisfatta anche lei, come Mattew, della sortita di Napolitano, chissà se con riserva di vedere come finirà davvero la partita.

Francesco Damato 

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