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Renzi, Padoan e Fracchia

Lanciare il sasso e nascondere la mano. Passi in avanti a parole, retromarce nei fatti. Offensive mediatiche e dietrofront improvvisi.

Benvenuti, passo dopo passo, ai Mille Giorni di Matteo Renzi.

Iniziamo dall’articolo 18. Chi ha ascoltato solo qualche servizio in tv o ha letto solo un paio di titoli di giornali, di sicuro si sarà convinto che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sarà presto rottamato, dopo la direzione del Pd in cui Renzi e la minoranza del partito si sono randellati. Invece, come qui a Formiche.net si era messo in guarda, la riunione democrat ha fatto compiere un bel passo indietro rispetto all’emendamento della maggioranza approvato dal governo al disegno di legge ribattezzato Jobs Act. Il Pd renziano ha infatti stabilito che l’articolo 18 resta sia per i licenziamenti discriminatori sia per quelli disciplinari, mentre si prevederà il reintegro o l’indennizzo per i licenziamenti economici illegittimi. Francamente, non si comprende dove sia la rivoluzione renziana.

La fuffa cresce se si guarda l’aggiornamento del Def, il Documento di economia e finanza, approvato dal consiglio dei ministri. Si indicano 1,5 miliardi di euro per una indennità universale di disoccupazione. Forse si sono dimenticati almeno uno zero, ma di sicuro l’energia del premier farà ancora una volta un miracolo.

Inoltre, mentre Renzi dava in pasto all’opinione pubblica l’idea del TFR in busta paga, mandava a Bruxelles un aggiornamento del Def in cui ha messo nero su bianco un ulteriore rinvio del pareggio di bilancio, già rinviato dal 2015 al 2016 senza avere il via libera della Commissione Ue e ora prorogato al 2017 per colpa del mix mefitico di recessione e deflazione. In cambio, si impegna a varare riforme come quella dell’articolo 18 tanto a cuore a Bruxelles, Berlino e Francoforte.

Renzi fa marameo a Merkel e Juncker, abbiamo sintetizzato con un certo sollievo ieri rimarcando la mossa anti austerità, sperando che l’iniziativa fosse stata concordata con altri Paesi per evitare un solipsismo rischioso, ai limiti della temerarietà. Visto che dopo qualche ora il governo francese ha lanciato una aperta sfida al Fiscal Compact, annunciando di non rispettare il tetto del 3 per cento del rapporto deficit-pil fino al 2017, si pensava che il concerto anti austerità fosse in atto per rottamare il Fiscal Compact.
Oggi invece si scopre di no. Anzi il governo – fantozzianamente – quasi si vergogna della mossa e non vuole per nulla essere accostato alla Francia, perbacco.

“La nostra strategia di risanamento e riforme – ha detto il ministro dell’Economia, Piercarlo Padoan – è diversa da quella di Parigi. Un Paese ad alto debito come l’Italia deve innanzitutto rispettare i mercati. Una loro incertezza avrebbe costi assolutamente insostenibili”. Dunque si rispetta il limite del 3%.

E il premier Matteo Renzi, a scanso di equivoci, dice (secondo Repubblica): “Noi siamo diversi da loro. Però temo che qualcuno cercherà comunque di metterci sul banco degli imputati con la Francia per via della mancata riduzione del debito”.

Renzi o Fracchia?

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