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Vi spiego il nuovo programma della Lega di Salvini. Parla Claudio Borghi Aquilini

Le critiche al decalogo economico di Matteo Salvini? “Molto inconsistenti”. Parola di Claudio Borghi Aquilini, responsabile economico della Lega Nord, che risponde ai rilievi avanzati nell’approfondimento di Formiche.net da Giuliano CazzolaRiccardo RealfonzoFrancesco Forte e Stefano Cingolani.

Professor Borghi, cosa pensa delle critiche al decalogo?

Mi sono sembrate molto inconsistenti. Cingolani, ad esempio, è rimasto indietro di qualche anno sul dibattito sull’uscita dall’euro; pensare che non si debba prenderla in considerazione significa negare l’ovvio. Rilevo poi che certe contestazioni guardano all’angolazione politica da cui arrivano le nostre proposte. Tuttavia, in una situazione di emergenza come quella attuale continuare ad agire con un’ottica di partito non serve a nulla. A Realfonzo inoltre, che paventa la perdita di potere d’acquisto degli operai in caso di uscita dall’euro, chiedo se non si sia reso conto che gli operai hanno già perso da un pezzo la loro capacità di spesa. Non mi sono mai detto contrario alla reintroduzione di meccanismi come la scala mobile per tutelare il potere d’acquisto dei salariati, se ne può parlare; ma non mi sembra un buon approccio bocciare in toto un programma economico perché manca questa cosa.

Cazzola sottolinea che il deficit spending che proponete non porta da nessuna parte.

Mi pare che tutti gli italiani abbiano ormai imparato dove porti invece l’austerity spending. Questo ragionamento fa parte dell’abc economico: se sei in recessione e vuoi venirne fuori, devi spendere di più. L’austerità ti porta a risultati opposti; all’austerità espansiva non crede più nessuno. Per questo serve il deficit espansivo, non perenne ma ciclico.

Per l’ex ministro Forte prima di negoziare un’uscita dall’euro occorre “rimettere i conti in ordine e risanare il debito pubblico”, altrimenti non si è credibili. 

Fino adesso abbiamo visto che fare i compiti a casa richiesti dalla Ue ci ha indebolito. Se fossimo usciti dall’euro tre anni fa, oggi staremmo sicuramente meglio. Non capisco a cosa debba servire la nostra credibilità in una negoziazione come quella sull’uscita dall’euro: dal momento che il mio interesse è contrapposto a quello degli altri Paesi dell’Eurozona, per quale motivo dovrei guadagnarmi il plauso dei concorrenti?

Quindi la priorità non è risanare il debito pubblico?

No, il debito pubblico non è la causa della crisi, altrimenti uno mi deve spiegare per quale motivo con Berlusconi era al 120% e lo spread a 500, con Monti pure, poi quando è intervenuto Draghi lo spread è calato e invece il debito ha continuato ad aumentare fino al 135%. C’è una contraddizione. In tutto il mondo i tassi ora sono a zero, in certi casi pure negativi, mentre il debito dei Paesi è ai massimi storici. Perché mai devo abbattere il debito se i tassi non dipendono da quello? E’ un’affermazione basata sul nulla. I conti pubblici si rimettono comunque a posto con molta più facilità fuori dall’euro che non dentro.

Realfonzo sposa la ricetta del “più Europa” e paventa, in caso di uscita dall’euro, un forte deprezzamento della nuova moneta con conseguente inflazione e redditi da lavoro molto penalizzati.

E’ illogico paventare il rischio che succeda qualcosa che in realtà si è già verificato. Se dico che ci vuole più Europa, è come dire che ci vuole più veleno proprio nel momento in cui capisco che è quel veleno che mi sta uccidendo. Mi pare poi di aver compreso, anche se lui non ha avuto il coraggio di dirlo, che Realfonzo pensi anche a trasferimenti fiscali dalla Germania, che poi non ce li concederà mai; oltre a questo, il nostro Paese di trasferimenti fiscali cronici al Sud ne ha fatti parecchi, sa bene che cosa producano.

Tornando a Cingolani, citando un intervento di Giorgio La Malfa ha ricordato che per uscire dall’euro occorre preparare gli italiani a “sopportare lacrime e sangue almeno per due o tre anni”, auspicando poi che le esportazioni trainino l’intero Pil.

Questo accento sulle esportazioni che ci faranno ricchi non è corretto. L’Italia deve uscire dall’euro innanzitutto per rilanciare la domanda interna; l’effetto sull’export ritengo che venga sopravvalutato. Noi in questo momento abbiamo una moneta sbagliata, per cui tutti i prodotti esteri ci risultano convenienti, quindi l’unica maniera che abbiamo per non eccedere in importazioni è l’austerità, perché se potessimo spendere di più compreremmo dall’estero e andremmo in deficit nella bilancia dei pagamenti. L’uscita dall’euro riequilibra la correttezza dei prezzi tra beni che importiamo ed esportiamo, consente di fare politiche anticicliche, abbassare le tasse per aumentare la domanda interna. Non si può sperare che arrivino le esportazioni a salvarmi, occorre avere le mani libere per fare politiche anticicliche, impedite in questo momento dalll’euro.

Che ne pensa dell’ufficio studi della banca svizzera Ubs che nel 2012 ha calcolato un effetto sui Paesi forti dell’uscita dall’euro di perdita del 20-25% di Pil che aumenterebbe oltre il 40% per i Paesi deboli?

Quello studio è spazzatura, realizzato in conflitto di interessi perché quando è stato scritto l’Ubs sperava che tutti corressero a portargli denaro scappando dall’euro; poi non ha alcun fondamento economico. Andrebbe letto per intero, così magari si scopre che è riferito al caso della Grecia.

In conclusione, che idea si è fatto di queste critiche che hanno bollato come populista, irrealizzabile e contraddittorio il vostro programma economico?

Chiunque presenti questo tipo di obiezione, per onestà dovrebbe indicarmi un altro programma migliore. Non mi risulta che altre forze politiche abbiano un programma economico di questo genere. Sono capaci tutti di scrivere annunci; ma non si può promettere di abbassare la pressione fiscale e contemporaneamente restare resta nell’euro, è una contraddizione. Noi abbiamo redatto un programma sostenibile, mi piacerebbe sapere piuttosto cosa ne pensa la gente; magari un imprenditore, un artigiano e un operaio.

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