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Come si muove in Europa (e in Italia) il fondo sovrano norvegese

Far fruttare preziose risorse naturali per promuovere il benessere e la dignità dei lavoratori in pensione. E rafforzare il patto generazionale grazie alla gestione virtuosa e lungimirante delle ricchezze pubbliche.

È l’obiettivo che anima l’attività del fondo sovrano della Norvegia, creato nel 1971 per rendere sostenibile il regime previdenziale attraverso l’utilizzo dei proventi delle attività petrolifere. E che è stato illustrato dal governatore della Banca centrale del paese scandinavo Øystein Olsen nel convegno “Managing Norway’s oil wealth”, promosso a Roma dalla Federazione delle banche, assicurazioni, finanza presieduta da Luigi Abete.

Lo sguardo sull’Italia

Al Fondo petrolifero norvegese piace anche l’Italia? Pare proprio di sì. La quota di titoli made in Italy vale circa il 2,6% degli investimenti effettuati dal fondo sovrano, gestito dalla Banca di Norvegia. Il dato lo ha rivelato il governatore centrale, Olsen, spiegando che il peso dell’Italia è superiore a quello degli altri Paesi europei, allineati in media intorno al 2,4%.

Il pilastro di un capitalismo virtuoso

Nell’Unione Europea e nell’Italia colpite dalla recessione economica e a rischio desertificazione produttiva, il Goverment Pension Fund-Global attivo nella monarchia nordica può costituire un modello per chi è alla ricerca di un progetto di sviluppo lontano dal neo-liberismo finanziario e dallo statalismo coercitivo, secondo alcuni osservatori. Rappresentando un robusto baluardo nei confronti dell’acquisizione crescente di gioielli industriali da parte dei giganti asiatici e americani.

Performance incoraggianti

La Norvegia, ha ricordato Øystein Olsen, ha puntato a trasformare le ricchezze petrolifere e di gas in grandi risorse finanziarie. Attraverso un mandato conferito dal Parlamento al Ministero delle Finanze, ha costituito un fondo gestito dalla Banca centrale. L’istituto pubblico beneficia di un prelievo fiscale aggiuntivo del 27 per cento previsto per tutte le aziende attive nel comparto petrolifero. Realtà che vedono la partecipazione minoritaria del governo.

Le somme derivanti dal surplus tributario vengono convogliate verso strategie di investimento all’estero – Italia compresa – con l’obiettivo del più elevato rendimento nel medio-lungo termine. Gran parte delle risorse è impiegata nel capitale azionario di imprese quotate in Borsa, in asset immobiliari, in obbligazioni e titoli di Stato.

Grazie alla diversificazione delle partecipazioni, riguardanti 10mila emittenti in 75 paesi, è stato raggiunto un equilibrio tra rischio e ritorno economico effettivo. Che nel 2014 risultava pari al 3,8 per cento.

Un attore pubblico efficiente nel mercato

L’iniziativa ha consentito alla Norvegia di raggiungere il vertice delle graduatorie europee per Prodotto interno lordo pro-capite e tasso di persone occupate. Lo scorso anno il comparto petrolifero ha rappresentato più del 20 per cento del PIL e oltre la metà delle esportazioni, con un livello di investimenti equivalente al complesso di tutte le altre attività economiche. Fattori che contribuiscono a comprendere perché il patrimonio del fondo ammonti a 650 miliardi di dollari.

Allo scopo di non toccare il capitale globale per i trattamenti previdenziali delle generazioni future, il governo di Oslo ha stabilito che le spese corrispondano al rendimento atteso pari al 4 per cento annuo. Scelta che ha fornito una protezione rilevante nella fase più acuta della crisi. E ha improntato le attività di investimento agli standard più alti di performance economica.

Norvegia modello per l’Europa?

Attività che vengono fermate quando prefigurano possibili violazioni dei diritti umani, fenomeni di corruzione, aggressioni verso l’ambiente. Un modello di capitalismo responsabile che ha contribuito allo sviluppo della monarchia scandinava, senza contraddire le politiche liberali portate avanti nel terreno economico-fiscale dal governo conservatore di Erna Solberg.

A riprova, ha rilevato il segretario generale della Febaf e professore di Economia politica presso l’Università Luiss “Guido Carli” Paolo Garonna, che il rilancio degli investimenti produttivi contempla un ruolo fondamentale dei fondi sovrani: “Realtà a capitale pubblico che agiscono nel mercato privato con una mentalità di lungo termine, e nell’esperienza norvegese rivelano una capacità di utilizzo virtuoso e trasparente delle materie prive”.

L’Italia ha bisogno di un fondo sovrano?

Nel nostro paese la stampa ha provato a tracciare i contorni di un fondo sovrano, leva per una politica industriale moderna. E l’attenzione è puntualmente ricaduta sulla Cassa depositi e prestiti.

Un’analogia respinta con nettezza dal capo economista di CDP Edoardo Reviglio, che pure rivendica all’istituto finanziario pubblico il compito di investitore di lungo termine aperto al mercato estero e attivo nel comparto delle piccole e medie imprese.

È per mettere in campo tale ruolo di catalizzatore e volano di risorse produttive che l’organismo guidato da Franco Bassanini ha contribuito per 8 miliardi di euro al progetto messo a punto dal presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker.

Le risorse naturali esistono anche nel nostro paese

Un primo passo rilevante, ha evidenziato lo studioso, che richiede tuttavia l’adozione di strumenti innovativi per la raccolta di capitali e una collaborazione con le banche nazionali per contare su garanzie efficaci nell’eventualità di fallimenti del mercato.

Al di là delle scelte che verranno messe in cantiere a livello comunitario, l’Italia potrebbe riflettere sulla bontà di un fondo sovrano. Le competenze non mancano. E il patrimonio, costituito dall’enorme risparmio accumulato dai cittadini, potrebbe essere arricchito da una politica lungimirante di ricerca e lavorazione di risorse naturali.

Lo scenario economico e energetico che si prospetta soprattutto nel Mare Adriatico è incoraggiante. Lo confermano le parole pronunciate da Romano Prodi riguardo le trivellazioni per l’estrazione di idrocarburi: “C’è una bolla di gas nell’Adriatico che è per metà nostra e per metà della Croazia. Zagabria sta perforando in mezzo al mare con tutte le compagnie internazionali, noi restiamo fermi. È come avere un bicchiere pieno, ma la cannuccia per succhiare la lasciamo agli altri”.

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