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Italicum, l’orologio di Mattarella e le mattane a 5 stelle

Sia pure con 24 ore di ritardo rispetto ai tempi baldanzosamente attribuiti dai grandi giornali all’orologio del Quirinale, la nuova legge elettorale è stata dunque firmata per la promulgazione dal presidente della Repubblica.

Sergio Mattarella non ha concesso alle opposizioni, che gli avevano chiesto il rinvio del cosiddetto Italicum al Parlamento “per una nuova deliberazione”, come gli avrebbe consentito l’articolo 74 della Costituzione, nemmeno il contentino di una lunga riflessione, visto che l’articolo 73 concede “un mese” al capo dello Stato per liberarsi di una legge trasmessagli dalle Camere e dal governo. Un governo il cui presidente, Matteo Renzi, aveva tanta fretta di chiudere davvero la partita da avere twittato la sua firma alla legge non solo per il grande pubblico ma anche per Mattarella, come per dirgli: dai, sbrigati anche tu, non dare l’impressione ai miei avversari e critici di avere dubbi.

L’annuncio della firma al Quirinale, con tanto di ripresa televisiva per sottolinearne l’importanza, è peraltro arrivato alle redazioni dei giornali in contemporanea con la notizia dell’uscita del deputato Pippo Civati dal Partito Democratico e relativo gruppo parlamentare. “Ho concluso in tutti i sensi”, aveva detto Civati a Montecitorio nella sua dichiarazione di voto contrario all’Italicum.

Alle opposizioni Mattarella non ha voluto concedere neppure la soddisfazione, o il contentino, di motivare con una nota esplicativa la promulgazione di una legge tanto vivacemente contrastata alla Camera. Così aveva fatto invece il suo predecessore Giorgio Napolitano nell’estate del 2008 firmando tempestivamente il cosiddetto lodo Alfano. Che, duramente osteggiato dalle opposizioni, aveva ripristinato con alcune modifiche ed estensioni un analogo scudo giudiziario per il presidente del Consiglio bocciato dalla Corte Costituzionale. Napolitano aveva voluto così metterci la sua faccia, tanto coraggiosamente quanto inutilmente, visto che i giudici della Consulta avrebbero bocciato l’anno dopo quello scudo anche nella nuova versione accreditata dal presidente della Repubblica in persona. E per l’allora capo del governo Silvio Berlusconi fu l’inasprimento di molti guai.

Mattarella evidentemente non ha voluto metterci la faccia, dirà forse qualcuno dalle parti di chi ha contrastato la nuova legge elettorale. O l’ha ritenuta così chiaramente coerente con il pronunciamento della Corte Costituzionale contro le parti salienti della vecchia legge elettorale, nota come Porcellum, da non avere avvertito neppure il bisogno di spiegarlo, potrebbero replicare gli amici e sostenitori di Matteo Renzi. O, ancora, può avere voluto tenersi fuori dalle polemiche e lasciare ancora più libera la Corte Costituzionale, della quale ha fatto parte sino a tre mesi fa, di pronunciarsi sulla nuova legge, se e quando dovesse anch’essa approdare alla Consulta per iniziativa di chi vi è abilitato, potrebbero a loro volta dire e consolarsi dalle parti delle opposizioni. Dove la speranza di una rivincita evidentemente è l’ultima a morire, dopo avere così rovinosamente perduto la partita alla Camera.

Non a caso, del resto, sempre dai banchi dell’opposizione, sia pure tra divisioni e distinzioni, come al solito, si sta cercando di organizzare contro l’Italicum un referendum parzialmente abrogativo, capace cioè di cambiarne i connotati togliendo qualcosa di qua e di là, visto che modifiche non hanno potuto apportarne a Montecitorio per il ripetuto ricorso del governo alle votazioni di fiducia.

Un referendum totalmente abrogativo della nuova legge, come richiesto dai grillini non si sa se più per ignoranza costituzionale o come espediente per sfilarsi da iniziative di altri, è irrealistico per l’abitudine consolidata della Corte Costituzionale di non permettere consultazioni che, abolendo appunto una legge elettorale del tutto e impedendo, sino all’approvazione di una nuova disciplina, il rinnovo del Parlamento, creerebbe un vuoto paralizzante. Una follia che giusto i grillini possono sostenere, o fingere di sostenere, potendo in realtà ricavare dall’Italicum, vista la crisi di quello che fu il centrodestra, il vantaggio di consolidarsi come il secondo partito italiano. E di contestare così nel ballottaggio la vittoria elettorale ad un Partito Democratico fermatosi al primo turno sotto il 40 per cento dei voti.

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