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Libia e jihadismo, tutti i rischi per l’Italia

L’instabilità di Tripoli mette a serio rischio la sicurezza dell’Italia: nel futuro, attraverso la partenza incontrollata di barconi dalle coste libiche, potrebbe esserci una migrazione di terroristi intenzionati a colpire Roma e i simboli della cristianità.

IL CONVEGNO

È lo scenario delineato nell’intervento di Mohammed Dahlan, già ministro di Stato per la Sicurezza interna e consigliere per la Sicurezza nazionale dell’Autorità nazionale palestinese, che oggi ha preso parte, insieme ad altri relatori, alla tavola rotonda “La Libia e il futuro della sicurezza nel Mediterraneo”, organizzata dal Comitato atlantico italiano in collaborazione con “Abhath”, Al Thuraya Consultancy and Researches di Abu Dhabi e il Mediterranean-Gulf Forum presso il Centro alti studi per la Difesa a Roma.

CHI C’ERA

Tra i tanti presenti, oltre agli ospiti stranieri, c’erano Fabrizio Cicchitto, presidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera, il presidente del Casd, l’ammiraglio di squadra Rinaldo Veri, e Fabrizio W. Luciolli, presidente del Comitato atlantico italiano e dell’Atlantic treaty association.

COLPA DELL’EUROPA?

Entrando nel cuore della questione libica, il politico palestinese ha mostrato di avere un’idea non difforme da quella manifestata sulle pagine del Washington Post dall’editorialista Anne Applebaum, che ha puntato l’indice contro la confusione e la mancanza di azione del Vecchio Continente. “Per parlare di Libia – ha detto Dahlan – dobbiamo parlare dei suoi rapporti con l’Europa”. L’Europa, rincara la dose, “ha distrutto la Libia”. Il riferimento è all’intervento di alcuni Paesi, tra cui la Francia, per rovesciare Muammar Gheddafi, al quale è seguito un completo abbandono del Paese, sfociato in una transizione democratica fallita e nel conseguente caos che ha generato una guerra civile e la crescita di gruppi jihadisti come l’Isis. “L’Italia, ha proseguito – si deve rendere conto dei rischi che corre”.

RESPONSABILITÀ CONDIVISE

Per Abdul Ilah Khatib, già inviato speciale dell’Onu in Libia e ministro degli Esteri in Giordania, la colpa della crisi di Tripoli va invece condivisa da tutti gli attori regionali. “Siamo abituati a dare la colpa agli altri, ma oggi dobbiamo unirci. Ritengo che noi vicini della Libia abbiamo bisogno di creare una struttura collettiva regionale che lavori per la tutela di tutti. La Lega Araba ha solo emanato una risoluzione per i cieli sicuri e ha chiesto a noi di agire ai sensi di questa risoluzione. In Occidente si e’ stati riluttanti verso una forma collaborativa a causa del conflitto arabo-israeliano e altri problemi. Dovremmo, invece, indire una riunione di amici e vicini della Libia subito per salvarla”.
Nonostante le tante difficoltà, è l’opinione del politico, i negoziati delle Nazioni Unite proseguiti sotto la direzione dello spagnolo Bernardino Leon hanno prodotto risultati. Ora, “il popolo deve essere padrone del proprio processo di dialogo e di democratizzazione. Non deve essere un’imposizione della Lega Araba o di Paesi stranieri”.

NON SI PARLA CON I TERRORISTI

Attraverso le parole di Mohammed El Orabi, già ministro degli Affari esteri in Egitto, Il Cairo (che sostiene Tobruk) ha invece rivendicato la necessità di un intervento per arginare i terroristi: “Appoggiamo gli sforzi di Bernardino Leon – ha detto – ma pensiamo che non esista una via solo politica. Il terrorismo va combattuto, non si può chiedere ai terroristi di sedersi al tavolo del dialogo”.

L’ALLARME DI BENOTMAN

E proprio da un ex jihadista è suonato l’ennesimo, forse più verosimile, campanello d’allarme per il nostro Paese. In un’intervista concessa ad Aki-Adnkronos International a margine del convegno, Noman Benotman, ex militante jihadista che ha preso le distanze dall’islamismo e che oggi è presidente della Fondazione Quilliam, un think tank con sede a Londra, ha rimarcato: le minacce rivolte dall’Isis all’Italia sono “concrete”. “Non stanno scherzando”, ha spiegato, il Paese ospita il più conosciuto simbolo del cristianesimo, il Vaticano. Questo simbolo – sottolinea – racchiude la loro avversione per l’Occidente e il cristianesimo”.

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