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Anche l’editoria italiana avrà il suo Bezos. Ecco come

La mossa del fondatore e ad del colosso del web Amazon, Jeff Bezos, che ha annunciato di aver acquistato per 250 milioni di dollari il Washington Post, ha sconvolto il quotidiano dello scandalo Watergate e non solo. L’operazione dell’imprenditore 49enne è stata considerata come il simbolo del web che mangia la carta stampata, da un lato, e come il segno dell’interesse crescente della grande finanza per il mondo dell’informazione, dall’altro.

Per l’editoria americana, ma in prospettiva anche per quella globale, può essere una buona, anzi, un’ottima notizia. Per una serie di ragioni”, ha scritto sul suo blog Danton il giornalista Daniele Bellasio, social media editor del Sole 24 Ore. “Certamente le cifre di cui si parla oggi, nelle compravendite dei giornali, non sono quelle di anni addietro – ha proseguito -. Ma resta confermato comunque l’interesse verso una forma di prodotto che molti si ostinano a dare per morto da tempo. Notizia quanto meno prematura”, ha evidenziato Bellasio, che commenta l’operazione e le sue conseguenze per l’editoria globale in una conversazione con Formiche.net.

Lei non era un fautore dell’on line quando di fatto lanciò il Foglio.it? E come mai ora con la mossa di Bezos dice che gli scenari cambiano?

Da tempo non esiste più la distinzione tra on line e no, esiste soltanto la distinzione tra innovazione e conservazione nei giornali. Jeff Bezos è un innovatore, vedremo se saprà innovare anche nell’editoria. Dovessi scommettere un penny, scommetterei sul sì. Questa notizia cambia lo scenario perché segna l’arrivo di un alfiere del nuovo mondo nel vecchio mondo, ma sempre di mondo si tratta. Come ha titolato Salon, è come se l’iceberg salvasse il Titanic. E’ una buona battuta, ma non è vera: il web non è la condanna del giornalismo, è la sua più bella sfida e il suo futuro, anzi, il suo presente. Bezos può trovare il modo di rendere il Washington Post anche economicamente profittevole e sostenibile. Magari sarà un modello per altri.

Non c’è contraddizione nel sostenere che Amazon non c’entra ma che Bezos utilizzerà i contenuti del Post? Non è una foglia di fico?

Il punto è Bezos, la persona. Intanto rischia in proprio, ci mette soldi suoi, bravo. Sarà pure per lui una cifra quasi irrisoria rispetto alla sua disponibilità, ma intanto la mette sul tavolo. Del resto è una caratteristica propria dell’imprenditore: rischiare in prima persona. Il punto è Bezos perché per innovare servono le idee e le idee le hanno le persone, non le formule giuridiche e/o finanziarie. Bravo Bezos a giocare in prima base e a non nascondersi dietro tecnicismi.

La vera svolta, forse, non è rappresentata dal fatto che Bezos è il compratore unico? Servono guide societarie uniche per rafforzare l’editoria? (Anche il presidente di Banca Intesa Giovanni Bazoli ha posto la questione per Rcs negli scorsi giorni).

Questa è una gran bella domanda a cui non so dare una risposta precisa e certa. Come ho detto prima, per innovare e governare aziende editoriali oggi, nel travaglio e tra le opportunità della rivoluzione del web, servono soprattutto le idee. Possono venire da un lavoro di squadra o possono venire dall’uomo solo al comando. Certamente, serve velocità di esecuzione, questo sì. Come diceva un grande filosofo contemporaneo, il mago Helenio Herrera, la regola oggi è: “Pensa veloce, agisci veloce, gioca veloce”.

L’operazione di Bezos non è da tener distinta rispetto, ad esempio, a quella di Buffett che si concentra su quotidiani locali potenziabili a livello pubblicitario?

Le decisioni di Bezos e Buffett sono il frutto della stessa considerazione: i giornali non sono affatto morti, anzi, stanno vivendo una bella crisi che può essere di crescita. I giornali devono cioè trovare la loro via per rinnovare il loro modello di business, mantenendo la loro identità editoriale. Il brand è il tesoro, l’identità pure. Per esempio, il Sole 24 Ore è il primo quotidiano digitale italiano. Sta cambiando, ma è il Sole.

E’ stato lo stesso Bezos a dirsi sicuro che tra vent’anni la carta stampata sarebbe sparita. Quest’affermazione non mette in dubbio il fatto che il suo acquisto sia una buona notizia per il WaPo e per la carta stampata in generale?

Tra vent’anni, anzi già oggi sparisce la distinzione tra i mezzi di comunicazione, gli oggetti, e l’informazione, che è sempre più un servizio. La rivoluzione della rete mette al centro di tutto l’informazione, l’idea, il contenuto, il valore del contenuto. Diventa secondario lo strumento di trasmissione, l’oggetto che veicola l’informazione, nel senso che la priorità del giornale dev’essere quella di produrre cronaca, analisi, commenti e idee, saranno poi le varie tecnologie a fornire strumenti utili per creare modelli di business sostenibili e per raggiungere i differenti lettori-fruitori.

E’ possibile che Bezos avvii un piano di revisione anche a livello di costi, benefit, spese inutili e razionalizzabili. Secondo Lei il giornalismo Usa è pronto per questo passo? Quello italiano non sembra

La crisi del settore si inserisce nella più generale crisi dell’economia: innovare non è più un’opzione, è una necessità, un obbligo. Non sono un manager, dunque non saprei, ma di solito innovare vuol dire soprattutto investire, per investire bene, però, può essere che servano anche cambiamenti, razionalizzazioni.

Ci sarà un Bezos nell’editoria italiana? Rischiamo di restare indietro?

Ci sarà. Forse c’è già e lo scopriremo tra qualche anno, anzi mese. Se qualcuno pensa di poter restare indietro sulla via dell’innovazione, ci penserà la dura legge della crisi a spingerlo avanti. Grandi difficoltà = grandi opportunità.

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