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Usa, il Summers time alla Fed finisce qui

Il “gran rifiuto” stavolta, anche se prima di qualsiasi nomina, è di Larry Summers. L’asso nella manica del presidente americano Barack Obama ha deciso di ritirarsi dalla corsa alla presidenza della Fed, la Federal Reserve. Adesso si spalanca la porta per la nomina di Janet Yellen, attuale vicepresidente, che potrebbe diventare la prima donna a ricoprire questo incarico.

La lettera ad Obama

In una lettera indirizzata al presidente degli Stati Uniti, l’ex presidente dell’Università di Harvard ed ex segretario al Tesoro ha scritto ieri: “Con grande dispiacere ho compreso che una mia eventuale nomina (davanti al Congresso) sarebbe fonte di dissidi e non gioverebbe all’interesse della Federal Reserve, né a quello del governo, né alla ripresa economica del Paese.”

Obama, con un comunicato ha annunciato di aver accolto la decisione di Summers: “Ho parlato con Larry Summers e ho accettato la sua decisione di ritirare la candidatura per la presidenza della Federale Reserve”.

La decisione del presidente

Lawrence Summers, il principale consigliere economico del presidente Obama durante la prima campagna elettorale e i primi due anni alla Casa Bianca, era considerato il favorito per la presidenza della Fed. Sessantasei anni, Janet Yellen, attuale numero due della Banca Centrale, è adesso la favorita per succedere a Ben Bernanke, anche se a questo punto spetterà a Obama scegliere il nuovo presidente della Fed, sottoponendo un nome al vaglio del comitato di politica bancaria del Senato.

Carriera e gaffe di Summers

Summers, 58 anni, proprio oggi aveva annunciato di aver rotto il contratto di consulenza che lo legava al colosso bancario Citigroup. Considerato un ottimo economista, è anche noto per il suo pessimo carattere e l’inclinazione alle gaffe: fu costretto a dimettersi da presidente di Harvard dopo aver sostenuto che il cervello delle donne era un problema per gli studi scientifici; qualche anno prima come capo economista alla Banca Mondiale, propose di sbarazzarsi dei rifiuti tossici scaricandoli nei Paesi poveri. E’ anche considerato uno degli artefici, insieme al suo mentore Robert Rubin, della scelta di superare a metà degli anni ’90 la legge che vietava la fusione tra banche commerciali e di investimento (il Glass-Steagall Act, varato nel 1933 dopo la crisi del ’29), l’atto che da molti economisti è considerato all’origine della crisi finanziaria del 2008. Quattro senatori democratici, in teoria a lui vicini, avevano già fatto sapere che gli avrebbero votato contro nella commissione sulle Banche. Ciò lo avrebbe costretto a chiedere i voti dei repubblicani.

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