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La sfida di Giuliano Poletti all’Italia delle rendite

Un’alleanza tra imprese grandi e piccole per creare opportunità di emancipazione e affermazione professionale per i giovani, rovesciando la deriva verso il declino economico in cui appare arenato il nostro paese. È il valore e l’obiettivo di “Alliance for Youth”, promossa da Nestlé in collaborazione con altre 12 aziende e presentata alla Residenza Ripetta di Roma.

Un capitale di raro valore

L’iniziativa, racconta il capo Mercato del Gruppo Nestlé in Italia Leo Wencel, coinvolge 200 aziende in Europa. Realtà che hanno risposto all’appello “Nestlé needs YOUth”, attraverso cui la multinazionale alimentare punta a offrire nel triennio 2014-2016 20mila opportunità di lavoro – 100mila nel lungo termine – a ragazzi con meno di 30 anni del Vecchio Continente, di cui 1.000 in Italia.

Esattamente 1.080, spiega il direttore Risorse umane Giacomo Piantoni. Circa la metà dei giovani – 450 – verranno assunti direttamente a tempo determinato e indeterminato, mentre gli altri 630 godranno di tirocini, alternanza scuola-lavoro e attività di formazione professionale.

Progetto tanto più prezioso visto il tasso di giovani privi di lavoro, pari al 25 per cento della popolazione italiana con il 43 per cento registrati nel Mezzogiorno. Persone che se fossero riassorbite nel mercato occupazionale produrrebbero un aumento del PIL di 2 punti, equivalenti a 36 miliardi di euro.

L’intervento dello Stato

Un patrimonio umano e professionale che dunque non può andare sprecato. Compresa la platea di 2 milioni 400mila under 30 che non studia, non si forma, non lavora. Allo scopo di colmare tale ritardo è stato concepito e messo in cantiere dal governo il programma “Garanzia giovani”. Allestito in tutti i paesi europei, il progetto in Italia può contare su un fondo pari a 1,5 miliardi.

L’obiettivo, rimarca il coordinatore di gestione di Italia lavoro Mauro Tringali, è portare ogni ragazzo iscritto a svolgere un’attività formativa o lavorativa concreta nell’arco di 4 mesi: “Un piano nazionale, fondato su una rete di servizi e incentivi uniformi in tutto il paese, che attribuisce alle regioni un ruolo nel rispondere alle esigenze presenti sul territorio e nel coinvolgere i privati nella gestione dei centri per l’impiego.

Capovolgere la visione dell’impresa

È questo uno dei capitoli nevralgici della riforma del lavoro invocata da troppi anni. Un intervento che per Michele Tiraboschi – giuslavorista e presidente di ADAPT, il centro studi e ricerche creato da Marco Biagi – non può arenarsi in un confronto astratto su regole e formule contrattuali. Ma deve contemplare l’occupazione come esigenza della persona, come atto di fiducia nei confronti dei giovani: “Che non attendono un contratto stabile a vita, bensì un accompagnamento verso la ricerca di opportunità ed emancipazione”.

Ripartire dall’alleanza tra imprese e ragazzi, evidenzia lo studioso, è la strada più efficace e stimolante per costruire relazioni industriali produttive e trasparenti. E per valorizzare l’impresa come luogo di sviluppo e affermazione individuale: “Grande passo in avanti in un paese che a lungo l’ha ritenuta un mezzo di sfruttamento dell’uomo sull’uomo”.

Le linee-guida del Job Act

Ragionamento condiviso dal ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti. Il quale, augurandosi che il 1 maggio possa celebrare in futuro la Festa del lavoro e dell’impresa, rivendica il percorso politico-legislativo del Job Act messo a punto dal governo.

Il responsabile del Welfare aspira ad archiviare una lunga stagione di battaglie oltranziste sull’Articolo 18, e rifiuta di creare nuove regole calibrate su ogni problema economico-sociale. Esorta a focalizzare l’attenzione su “politiche attive e ammortizzatori sociali responsabilizzanti, capaci di vincolare l’erogazione di un aiuto economico alla ricerca attiva di reinserimento occupazionale”.

Non vuole ripetere l’errore storico di “provvedimenti passivi e assistenziali che condannano il lavoratore alla pura sopravvivenza”. E punta su norme semplici e contrattazione decentrata, conciliazione tra lavoro e famiglia e raccordo-alternanza tra scuola e attività professionali. Un punto, quest’ultimo, che ai suoi occhi richiede l’apertura del programma “Garanzia giovani” agli studenti attivi in ogni percorso formativo.

L’iter della riforma

La scelta della legge delega per la riforma del mercato del lavoro, osserva l’esponente dell’esecutivo, è la più favorevole a un confronto costruttivo a tutto campo finora bloccato dalle contrapposizioni ideologiche.

I lavori parlamentari sul testo, integrato ieri dall’emendamento governativo sul contratto unico con tutele crescenti nel tempo per i nuovi assunti e sul reintegro nel posto di lavoro solo nel caso di licenziamento discriminatorio, stanno proseguendo in Commissione Lavoro di Palazzo Madama.

La cui attività è giudicata positivamente dal ministro, che precisa come la proposta di modifica accolga le richieste e trovi l’adesione delle forze politiche di maggioranza.

Una strada in salita

Il provvedimento, che dovrebbe approdare nell’Aula del Senato la prossima settimana, non parla apertamente del “modello tedesco” caldeggiato recentemente da Matteo Renzi.

Manca il riferimento a un’innovazione radicale degli ammortizzatori come la cassa integrazione a vantaggio di strumenti finalizzati al reinserimento responsabile nel mercato produttivo. Non vi è traccia di un’agenzia unica e nazionale del lavoro, articolata in un network di centri per l’impiego attivi sul territorio in un rapporto costante con le aziende.

Ma è stata sufficiente la sfida al totem dell’Articolo 18 dello Statuto del 1970 “e all’Italia delle rendite” per scatenare furibonde reazioni di un vasto fronte politico e sindacale.

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