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Perché non mi convincono le posizioni della Chiesa cattolica sull’Isis. Parla Vittorio Emanuele Parsi

Una nuova forma di totalitarismo che, nella veste del fanatismo di marca religiosa, punta ad annullare ogni germe di libertà innanzitutto nel mondo arabo. L’offensiva lanciata dai fautori del Califfato sunnita in Medio Oriente e Nord Africa impone la risposta più rigorosa nei governi occidentali e delle nazioni “musulmane moderate”. Protagonisti della costruzione laboriosa di un’alleanza politica, diplomatica e militare già attiva nello scenario iracheno e siriano.

Un fronte eterogeneo cui non ha aderito con la necessaria convinzione la Chiesa cattolica. Almeno a giudizio del filosofo cattolico Benedetto Ippolito, il quale ritiene tiepidi e ambivalenti i richiami del mondo cattolico a fermare l’aggressione e la persecuzione contro i cristiani senza ricorrere all’uso della forza.

Per capire se e fino a che punto la reazione armata contro le milizie dello Stato islamico presenti una valenza religiosa e coinvolga i valori spirituali più profondi delle nostre società Formiche.net ha sentito Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano.

L’aggressione jihadista scatenata in Iraq e Siria è una “guerra di religione e civiltà contro i cristiani e l’Occidente” o una “lotta di potere tutta interna all’universo arabo-islamico”?

È una guerra civile promossa all’interno del mondo musulmano sunnita, oltre che contro gli islamici sciiti, per l’instaurazione della purezza della fede politica nel primato assoluto della religione. Ma costituisce anche un’offensiva verso l’Occidente garante del residuo di stabilità regionale in Medio Oriente.

La posizione della Chiesa cattolica e di Papa Francesco sull’aggressione dei fanatici sunniti è un cedimento al pacifismo predominante in Europa?

Nel Medio Oriente la Santa Sede porta avanti da decenni una strategia di appeasement nei confronti delle manifestazioni ostili alle comunità cristiane. Realtà in forte riduzione negli ultimi vent’anni. Tuttavia non ritengo che gli interventi pubblici del Pontefice possano incidere in modo rilevante sulle scelte politiche.

Per quale motivo?

Le opinioni pubbliche dei Paesi occidentali non ascoltano più di tanto i punti di vista degli alti rappresentanti delle chiese cristiane, cattoliche o protestanti. Sono molto più secolarizzate rispetto a quanto possiamo pensare.

Il segretario della Conferenza episcopale italiana Monsignor Nunzio Galantino parla di “Shoah cristiana, ma spiega che “alle situazioni di crisi si mette fine con la volontà politica di tutte le parti coinvolte nel conflitto”. 

La volontà di porre fine al conflitto è inimmaginabile se uno degli attori è lo Stato islamico. Neanche Attila è stato fermato con gli strumenti politici. L’utilizzo della forza contro i malvagi è parte integrante della politica internazionale. Per tale ragione ritengo non politiche ma di pura testimonianza le posizioni della CEI. Così come l’esortazione di Papa Francesco a “fermare l’aggressore non attraverso i bombardamenti”.

È giusto legittimare dal punto di vista religioso e spirituale una mobilitazione politico-militare contro la nuova barbarie totalitaria?

Le benedizioni dei gagliardetti ad opera dei preti non sono un grande esempio e hanno sempre provocato danni. È necessario evitare di essere attirati nel gorgo della logica settaria messa in moto dai fanatici dell’Isis. Perché noi non stiamo difendendo la cristianità ma la concezione liberale dell’ordine civile. E apprezzo nel clima politico attuale la volontà di non contribuire ad alimentare uno scontro religioso tra “noi e loro”.

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