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Vantaggi e trappole del Renzellum per Renzi

La conferenza stampa di fine anno del premier Matteo Renzi ha visto in un gesto di indubbio impatto visivo il suo passaggio più efficace. Affrontando il tema della riforma elettorale, il Presidente del Consiglio ha preso in mano e mostrato ai giornalisti il facsimile di una scheda per il voto politico modellata sulle regole all’esame del Parlamento.

Renzellum come Mattarellum?

Un testo che si presenta comprensibile e semplice agli occhi dei cittadini, come spiegato dal Presidente del Consiglio: “Frutto di una legge molto tranquilla, per cui la formazione che arriva prima vince e governa per cinque anni. E che riduce i simboli delle forze politiche nelle circoscrizioni a non più di 6-7”.

Fermamente convinto della costituzionalità dell’Italicum 2.0 e della sua approvazione entro gennaio, il segretario del Partito democratico si è spinto oltre. Arrivando a parlare di “Mattarellum con preferenze”.

A suo giudizio i punti di affinità del nuovo meccanismo di voto con le regole votate all’indomani del referendum elettorale dell’aprile 1993 risiedono nella presenza di un capolista bloccato dei gruppi in corsa nei vari territori. Un “candidato riconoscibile in cui l’opinione pubblica può identificare il partito prescelto. E che consente una competizione limpida con gli altri capilista, esattamente come in un collegio maggioritario di tipo britannico”.

Le profonde differenze rispetto al maggioritario uninominale

Argomentazione in realtà molto forzata, visto che al contrario di quanto accade nelle democrazie politiche anglosassoni e in Francia – fondate su collegi molto ristretti con un unico eletto – il Renzellum prevede una ripartizione proporzionale dei consensi e dei resti a livello nazionale.

Concepito per garantire l’esistenza delle forze medio-piccole che costellano il panorama politico italiano, tale meccanismo non garantisce che i cittadini di un collegio plurinominale facciano entrare in Parlamento i concorrenti in lizza nella loro area geografica. Per cui gli abitanti di Cremona potrebbero contribuire a eleggere i candidati di Potenza, e viceversa.

Meccanismi a favore dei partiti minori

Altro marchingegno messo a punto per salvaguardare forze come Area Popolare, Fratelli d’Italia, Sinistra e Libertà – e che è inimmaginabile nel Regno Unito fondato sul rigoroso legame tra rappresentante e singolo territorio e sulla sfida maggioritaria senza appello – è la facoltà delle candidature multiple.

Vale a dire la possibilità per lo stesso capolista, presumibilmente il leader di partito, di presentarsi in 10 circoscrizioni differenti. Scegliendo poi in una fase successiva al voto l’area di elezione. Ed evitando il rischio di venire bocciato clamorosamente nella competizione secca e imprevedibile in un unico collegio maggioritario. Grazie alla previsione di una soglia di accesso molto ridotta, pari al 3 per cento dei suffragi, l’ingresso nella Camera dei deputati di figure come Angelino Alfano, Giorgia Meloni e Nichi Vendola è pressoché assicurata.

Le pluri-candidature forniscono a tutti un comodo paracadute. Ed è forse questa la ragione della mancanza di reazioni critiche di Area Popolare, Fdi e Sel alle regole elettorali illustrate teatralmente nella conferenza stampa.

Un’offerta eterogenea

Ma vi è un’ulteriore differenza tra Renzellum e Mattarellum, per non parlare del maggioritario uninominale privo di recuperi proporzionali. Perché nella scheda solennemente mostrata dal premier vi è lo spazio per esprimere le preferenze a due candidati della forza politica scelta. Personalità che seguono il capolista bloccato in un elenco di 6-7 nomi affisso prima di entrare in cabina.

È difficile che il cittadino possa identificare il profilo e il programma del partito esclusivamente con la personalità del capolista, visto che la sua scelta verrà influenzata dalle caratteristiche dei candidati soggetti a voto di preferenza.

Ne potrebbe scaturire una sorta di “scelta a pacchetto”, che tiene conto dell’offerta complessiva nella circoscrizione. Soprattutto in aree con una popolazione media di 600mila abitanti.

Le insidie per il premier

Tuttavia è qui che si celano le trappole insidiose per l’ex primo cittadino di Firenze. E per il Partito democratico “plasmato” sulle sue aspirazioni riformatrici.

Perché è vero che il perno del nuovo meccanismo elettorale – l’attribuzione del premio di governabilità alla lista e non più alla coalizione vincente al primo turno o al ballottaggio – garantisce un ruolo di assoluta egemonia al Nazareno, visti i rapporti di forza esistenti con i possibili avversari.

Ma lo scenario di una vittoria quasi certa e massiccia del Pd potrebbe venire minato dal gioco delle preferenze per la scelta di una parte dei parlamentari. Considerando che ognuna delle 100 circoscrizioni elegge circa 6-7 rappresentanti e valutando le percentuali odierne delle varie formazioni in campo, è probabile che unicamente il Nazareno manderà a Montecitorio candidati non bloccati oltre ai capilista.

È facilmente immaginabile, per ammissione dello stesso Presidente del Consiglio, che il Pd non farà ricorso alle candidature multiple. Allo stesso tempo è ipotizzabile che i capilista saranno figure profondamente legate al premier. Per tutti gli altri varrà la rincorsa alle preferenze.

Pratica che frequentemente ha visto eccellere le personalità del Partito democratico più legate ai metodi tradizionali e collaudati di raccolta del consenso. Come rivela la recente tornata elettorale in Emilia Romagna, si tratta degli esponenti vicini a Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema.

Così un Renzi trionfatore del prossimo voto politico potrebbe ritrovarsi una compagine parlamentare tutt’altro che governabile e omogenea al suo progetto.

Critiche rivelatrici

Non è casuale che le risposte più polemiche al meccanismo dei capilista bloccati illustrato dal premier provengano da due rappresentanti della minoranza interna.

Il senatore Federico Fornaro, appartenente ad Area riformista, parla apertamente di vizi di costituzionalità per la previsione dei capolista bloccati: “Le formazioni sconfitte vedranno entrare in Parlamento soltanto le personalità nominate dai partiti o gli eletti scelti dal leader tramite il marchingegno della candidature multiple”.

Il suo collega di Palazzo Madama Miguel Gotor spiega che con i capilista bloccati il 60 per cento dei seggi sarebbe assegnato da 3-4 grandi “nominatori”: “Un eccesso di oligarchia da evitare per ridurre la frattura fra cittadini e istituzioni”.

Un silenzio eloquente

A fronte di un dibattito che si preannuncia molto caldo tra le fila del Pd, appare clamoroso fino a oggi il silenzio con cui le principali forze di opposizione parlamentare hanno accolto le parole del premier sulla riforma elettorale. A partire dai rappresentanti del Movimento Cinque Stelle, che pure hanno riservato considerazioni impietose sulle politiche economico-sociali del governo.

Considerati gli attuali rapporti di forza, la formazione creata da Beppe Grillo non riuscirebbe a contendere al Pd di Renzi la conquista del premio di governabilità. Ma nel panorama di “democrazia asimmetrica” fondata sulla centralità egemone del Nazareno e priva di uno sbocco alternativo nel versante di centro-destra, può ambire al ruolo di antagonista mediatico del Partito democratico. Soprattutto nell’eventualità di un ballottaggio che farebbe convogliare sui penta-stellati i voti dell’area populista del mondo conservatore, ostile ai vincoli europei e all’immigrazione incontrollata, e del mondo progressista ostile alle riforme liberali del premier.

Al M5S, che non ha nulla da temere dal meccanismo di attribuzione dei seggi e dal gioco delle preferenze e può vedersi riconosciuta una rappresentanza fedele ai consensi ricevuti, verrebbe riservata la palma di “miglior perdente” e di seconda forza partitica nazionale. Nelle condizioni attuali l’ipotesi più lusinghiera di fronte alla “corazzata Pd”.

Centro-destra smarrito e spiazzato

La vera incognita sullo scenario aperto dal Renzellum concerne il centro-destra tuttora alla ricerca di identità e figure-guida.

La ricomposizione di una formazione unitaria in grado di competere per il bonus di governabilità appare un miraggio. Allo stesso tempo le cifre registrate da Forza Italia e Lega Nord rendono impensabile per entrambe un confronto al ballottaggio con il Partito democratico. A meno che la campagna di populismo spregiudicato lanciata dal Carroccio riesca a fare breccia nel Mezzogiorno proiettando Matteo Salvini nel ruolo di avversario più insidioso di Renzi.

A quel punto, per evitare di restare confinati nella marginalità politica, pianeti e satelliti della galassia conservatrice-moderata dovrebbero aggregarsi alle “camicie verdi” in un eventuale ballottaggio Lega-Pd.

Berlusconi appoggia il Renzellum

Eppure le reazioni provenienti da Forza Italia verso la proposta elettorale del premier sono improntate a prudenza, apertura, adesione. A riprova che Silvio Berlusconi non punta più sulla competizione aperta e sulla sfida culturale a tutto campo nei confronti del Nazareno. Accantonate le ambizioni di vittoria elettorale, l’ex Cavaliere appare più interessato a un rapporto costruttivo con il premier in grado di garantirgli un ruolo nell’elezione del Presidente della Repubblica e una ragionevole agibilità politica rispetto alle traversie giudiziarie.

E Forza Italia?

È da valutare se e in quale misura i parlamentari “azzurri” condividano la linea portata avanti dal fondatore di Mediaset. A partire da Raffaele Fitto e dalla nutrita pattuglia di “dissidenti” sempre più allergici ai vincoli del Patto del Nazareno.

Un gruppo che potrebbe riservare sorprese nel rush finale per l’approvazione della nuova legge elettorale. A partire dal tema spinoso dell’estensione delle preferenze. Terreno prediletto dall’ex governatore della Puglia, come conferma la messe di consensi raccolti nel voto per l’Assemblea di Strasburgo.

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